Addio a Biscardi Inventò il talk show del calcio in tv
Consacrò le polemiche con «Il processo del lunedì» Un formidabile istrione, modello dei programmi tv
Si svolgeranno oggi alle 15, a Roma, nella chiesa di San Pio X, i funerali di Aldo Biscardi. Il giornalista, che avrebbe compiuto 87 anni il 26 novembre, è morto ieri al Policlinico Gemelli, dove era ricoverato da qualche giorno, assistito dai suoi figli. Nato a Larino (Campobasso), Biscardi aveva debuttato nel 1979 in Rai e lì, nel 1980, aveva ideato «Il processo del lunedì» sul mondo del calcio di cui divenne conduttore nel 1983. Dieci anni dopo, nel 1993, lasciò la Rai. Tanti i messaggi di cordoglio dal mondo dello sport, dello spettacolo e della politica. Berlusconi: «Perdo un amico, innovatore in tutto». Al leader di Forza Italia si deve uno degli scoop più noti di Biscardi: quello sul futuro di Kakà al Milan, svelato, nel 2009, con una telefonata in diretta dell’allora presidente rossonero al «Processo di Biscardi».
Èmorto Aldo Biscardi, onore ad Aldo Biscardi. Anche se negli anni ho scritto su di lui giudizi poco lusinghieri, anche se una sua bugia, o cialtronata, mi ha fatto passare momenti poco simpatici. In fondo è anche stato premiato dalla vita: ha fatto in tempo a vedere la svolta tecnologica nel calcio e i primi passi della VAR, lui che della moviola in campo aveva fatto negli ultimi anni un vero e proprio tormentone.
Biscardi è Il processo del lunedì, 1980. A poco più di un anno dalla sua nascita, Rai3 (allora Terza rete), ancora in cerca di una precisa caratterizzazione e di una propria audience, scoprì una dimensione dello sport ancora inesplorata: il «calcio parlato». Il Processo consacrò in uno spazio istituzionale le polemiche e le discussioni da bar, trasferendole in una fittizia aula di tribunale in cui le diverse parti accusavano, arringavano, difendevano e finivano immancabilmente per litigare, fomentate e manovrate dall’enfasi verbale dell’inappellabile giudice Biscardi, scuola Sandro Curzi. Era nato il trash quando questa parola non era ancora di moda. Protagonisti del «dibbattito» erano personaggi sportivi, del giornalismo, dello spettacolo, della cultura. C’era persino Gianni Brera. C’era la scheda di Carlo Nesti.
L’importante è durare. Non come, ma quanto. Il Processo del lunedì di Biscardi è durato più trent’anni (Rai3, poi Tele+, poi TMC, poi 7 Gold, più varie tv locali) ed è stato persino celebrato con articoli che, fingendo di prenderne le distanze, hanno finito per sancirne l’ominosa grandezza.
In questo senso, Biscardi è stato un eroe del nostro tempo. Anni fa, quando eravamo più giovani e ingenui, eravamo portati a credere che il Processo fosse un modo plebeo e sgangherato di raccontare il calcio. Forse era così, forse. Ma perché ci sia un sopra e un sotto, bisogna davvero che ci sia separatezza, che qualcuno si mostri migliore di un altro. E invece, per molti anni, il Processo è apparso ai più come una trasmissione guida, il solo modo per raccontare il calcio.
Nel 2004 è intervenuto anche il tribunale di Roma per sancire la natura vera della trasmissione. Archiviando una querela presentata dall’Associazione Arbitri nei confronti del Processo, il pubblico ministero sostenne che nel programma «la credibilità obbiettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta assai bassa... Ne deriva che la credibilità dell’informazione offerta e la conseguente attitudine di questa ad essere, in ipotesi, idonea a ledere l’altrui reputazione sono oltremodo inconsistenti». Traduzione: siccome si sparano delle fanfaluche è inutile prendersela tanto. Da allora molti programmi sportivi si sono sentiti autorizzati a seguire questo modello.
Biscardi è stato molto bravo a inscenare psicodrammi nazionali, un formidabile attore. È stato comunista ma anche grande amico di Berlusconi; è stato moggiano ma anche sodale degli accusatori di Moggi; è stato uno che stenta a capire le cose ma anche uno che ha capito tutto. La sua forza? È stato l’ultimo erede dell’istrione itinerante, il comico dell’arte che recita «a soggetto» lasciando a sé ae a suoi comprimari ampi spazi d’improvvisazione, pur nella fissità di fondo. L’importante è durare, come suggeriva Ennio Flaiano: seguendo le mode, tenendosi al corrente, sempre spaventati di sbagliare, pronti alle fatiche dell’adulazione, impassibili davanti a ogni rifiuto, feroci nella vittoria, supplichevoli nella sconfitta. Un vero italiano.
E la bugia che mi riguarda? Nel 2003, Biscardi inaugurò una rubrica di critica televisiva: Il comandante Stopardi (alla romana: sto par di...). Per darle forza, mise in giro la voce che «un grande critico» redigeva per lui opinioni sui programmi sportivi e perché l’allusione fosse chiara arrivò persino a mostrare un mio libro per un’intera trasmissione o a citare un pezzo scritto per il Corriere spacciandolo come una cosa scritta apposta per il Processo. Smentii pubblicamente la notizia e la cosa parve finire lì, in una bolla di sapone. Così non fu. Ai tempi di Calciopoli, in un’intercettazione, Moggi si rivolse in toni perentori a Biscardi perché mi togliesse la rubrica e quello rispose subito di sì. Altra smentita, altra minaccia di querele, ma finire come «intercettato» sui giornali per una notizia inventata (la classica fake news) non è cosa piacevole.
È sempre stato difficile muovere delle critiche a Biscardi, con le buone o con le cattive: il suo genio da finto tonto sapeva sempre volgere a suo favore ogni rimprovero. Ci abbiamo provato con le citazioni colte, con l’ironia, con il fioretto: niente da fare, ha sempre vinto lui. Riconosco che Biscardi è stato l’inventore del calcio parlato. Non importa se a spese della grammatica.