La scossa riformista di Fassino: o si cambia o si muore
In un libro l’ex leader affronta identità e sfide del Pd di fronte ai «populismi di destra e sinistra»
MILANO «O si cambia o si muore». Lo slogan fu utilizzato da Piero Fassino nel 2001, quando assunse la guida dei Democratici di sinistra traumatizzati dopo una nuova vittoria di Silvio Berlusconi. Quel vecchio slogan, che portò prima alla ricostruzione dell’Ulivo e poi alla nascita del Partito democratico, torna ora in auge nel libro che l’ex ministro dedica proprio al Pd.
Un volume sui dieci anni del partito — quell’età, scrive Fassino, in cui «si allentano i vincoli di dipendenza dai genitori» — che non guarda al passato del Pd, non ne «celebra» la storia e non ha obiettivi di «posizionamento» tra le anime agitate dei democratici.
Fassino, che dieci anni fa guidò lo scioglimento dei Ds dentro al nuovo partito, sgombera il campo fin dall’introduzione: il volume «non ha secondi fini», non parla «di Berlusconi, Grillo e Salvini» e nemmeno di Renzi «che ho sostenuto e sostengo».
Pd davvero si occupa di quale possa essere il futuro di una forza politica della sinistra riformista in un mondo totalmente nuovo rispetto a dieci anni fa; ed è qui, appunto, che torna utile quel vecchio slogan «O si cambia o si muore» che l’ex leader riadatta alle incerte sorti del riformismo (e del Pd) nel mare della globalizzazione e tra le onde della crisi.
Fassino propone, a proposito di vecchi slogan, un «balzo in avanti» nella cultura politica delle sinistre di governo, ora in affanno in tutta Europa e negli Stati Uniti, incalzate da «populismi di destra e di sinistra», da Trump a Corbyn fino, in Italia, al Movimento cinquestelle, che lo ha sconfitto a Torino, e che, secondo l’ex sindaco, sintetizza e contiene entrambe le «pulsioni», demagogie di destra e di sinistra.
Per il riformismo invece, secondo l’autore, la mission oggi è dare alla globalizzazione una direzione democratica. Per questo il libro sbriga velocemente, e in modo asciutto, i dieci anni, pure ricchi di avvenimenti, che il Pd si è lasciato alle spalle, per concentrarsi, attraverso una serie di domande «scomode», sull’identità di un partito riformista di domani: europeista, che accetti la sfida della società aperta e ne governi i processi (dalle tecnologie all’immigrazione), si batta per un lavoro «degno» in un contesto «flessibile», si opponga a muri nazionalistici e al «moderno luddismo» di chi contesta ogni modernizzazione.
Poche, ma inequivocabili, le indicazioni dell’ex leader sui travagli più contingenti della sinistra: «Le scissioni» scrive Fassino «appartengono a un altro tempo» ma l’attuale Pd deve abbandonare la «presunzione dell’autosufficienza» e creare alleanze e coalizioni più ampie.
La globalizzazione «Dare una direzione democratica alla globalizzazione: questa è la mission»