«Non vado a caccia della Coppa Il mio baffo è nella storia»
Lo skipper del Moro e l’America’s Cup «Velisti senza carisma Peccato rinunciare alla tecnologia dei cat»
Ha perso i baffi, non un grammo di carisma. Paul Cayard, californiano di San Francisco, 58 anni, ha fatto innamorare gli italiani della grande vela di Coppa America nove anni dopo la pioniera Azzurra, quando fu scelto da Raul Gardini come skipper del Moro di Venezia, vincitore della Vuitton ’92. Ha vissuto a Legnano, ha avuto la figlia Allie a Milano, con l’Italia ha una corrispondenza di amorosi sensi da sempre («La mia seconda patria»): ci è tornato per parlare di mare e ambiente al One Ocean Forum organizzato dallo Yacht Club Costa Smeralda.
Paul, la plastica sta soffocando gli Oceani.
«Abbiamo sporcato? Puliamo. L’uomo va per mare da millenni: è negli ultimi 100 anni che abbiamo fatto disastri».
Come si può pensare di rimediare se Donald Trump si rifiuta di firmare gli accordi sul cambiamento climatico?
«Incredibile...».
Nelle sue navigazioni ha mai incontrato la famosa isola di plastica nel Pacifico?
«Galleggia a nord delle Hawaii: le rotte dei giri del mondo passano più sotto. Ma ho visto tanta plastica in acqua. Il peggio? Nella baia di Rio: un divano e un frigorifero sul campo di regata...».
L’acqua più bella?
«Sardegna, Croazia e Caribe, dove la visibilità può arrivare a 15 metri di profondità».
Un giudizio sulla Coppa America dei catamarani a Bermuda?
«Sono sincero: a me, da americano, la coppa alla maniera di Larry Ellison è piaciuta. Ho visto buone regate, di alto livello, in un fantastico stadio naturale. I cat sono più facili da capire per i giovani e chi di vela non s’intende».
La scelta dei monoscafi per la prossima Coppa a Auckland è un ritorno al passato o un passo avanti?
«Mi spiace un po’ veder buttare via la tecnologia sviluppata dai catamarani ma non è un mistero che Bertelli abbia finanziato i kiwi a patto che, vincendo, tornassero al monoscafo. A questo punto vorrei barche veloci e plananti senza foil, come i Maxi 72: così si esalterebbero le abilità dell’equipaggio, azzerate a Bermuda, contenendo i costi».
E così si riciclerà la generazione dei rottamati.
«Parlo per me: io ormai sono troppo vecchio per questo gioco affascinante. Non organizzerò una sfida, non vado a caccia di niente. Se cercano un manager, posso gestire un team. Basta timone in America’s Cup. Largo ai giovani».
Il fenomeno Jimmy Spithill è rimasto a piedi a 36 anni.
«Valentino Rossi e Francesco Totti sono eccezioni, non la regola».
Se la Coppa la organizzasse lei, come la farebbe?
«Manterrei qualche cara vecchia tradizione. Per esempio: l’evento deve essere ospitato dal paese del defender. Bermuda, in questo senso, non c’entrava niente, ma se ti offrono 77 milioni di dollari per un mese di regate come fai a dire di no?».
Che fine hanno fatto, Paul, le personalità alla Gardini?
«Raul manca moltissimo alla Coppa. Servono armatori vecchio stampo e timonieri impavidi, che sappiano essere leader naturali. Burling è bravo e sicuro di sé ma non è carismatico. L’unico che ha il coraggio di osare è Spithill. Tutto il resto è piatto».
Un ricordo del Moro.
«Siamo nel suo ufficio. Raul sono preoccupato per la Coppa, gli dico. E lui: Paul tu non devi temere niente, hai la giovinezza. Solo a 58 anni capisco cosa voleva dirmi».
E Cayard cosa fa oggi?
«Ho preso il brevetto di pilota d’aereo, regato ancora nella Star dove faccio volentieri il prodiere di mio figlio Danny. Potrei fare un giro del mondo con Peyron, su un multiscafo. Nel stiamo parlando».
Perché valeva più un baffo di Cayard di tutta la stagione di regate tra le boe?
«Il baffo era iconico, forse. Ma è stata tutta l’avventura del Moro di Venezia a stamparsi indelebile nella memoria degli italiani».