Fiducia, primi sì e proteste
Cinque Stelle e Mdp in piazza sulla legge elettorale. Oggi il test del voto segreto
I primi voti favorevoli alla legge elettorale — sulla quale il governo ha posto la fiducia — sono arrivati. Oggi alla Camera lo scoglio più difficile da superare per il «Rosatellum»: il voto segreto. Ma in piazza parte la protesta dei partiti: il Movimento Cinque Stelle e il Movimento democratico progressista (Mdp) hanno criticato la scelta di blindare la legge con il ricorso alla fiducia definendola «un attacco alla democrazia» e «un atto eversivo». Di Battista: «Solo il Duce osò tanto». Anche il presidente emerito Giorgio Napolitano è intervenuto dicendo che così si limita l’attività dei parlamentari. Renzi difende la scelta: nulla di sconcertante.
La Camera ha detto sì al primo voto di fiducia sulla legge elettorale con 307 voti favorevoli, che in serata, alla seconda fiducia sull’articolo 2 del Rosatellum, sono saliti a 308. La prova della maggioranza (Pd, Ap, Sc) non è stata travolgente considerato che, a Montecitorio, ci sarebbero sulla carta circa 400 voti favorevoli al governo. Con questi numeri — sebbene Lega e Forza Italia abbiano assicurato un margine di sicurezza uscendo dall’Aula — aumentano le fibrillazioni nel pur vasto fronte favorevole alla legge elettorale in vista del voto finale a scrutinio segreto previsto per questa sera. O al massimo per domani, se grillini e bersaniani di Mdp e Sinistra italiana (che con Fratelli d’Italia hanno raccolto 90 voti) presenteranno come annunciato una valanga di ordini del giorno.
In principio, i voti segreti (sulla materia elettorale ampiamente ammessi dal regolamento della Camera) avrebbero dovuto essere 110-120. Il triplo voto di fiducia (il terzo ci sarà stamattina, sull’articolo 3) chiesto dal Pd e da Ap, e poi autorizzato dal governo di Paolo Gentiloni, ha cancellato tutti gli scrutini segreti tranne quello finale, mentre ha lasciato sul tappeto un trentina di emendamenti agli articoli 4 e 5 che però non toccano i capisaldi del testo.
In questo clima di scontro, la Camera è stata assediata dai grillini, dai «forconi» dell’ex generale Antonio Pappalardo e dalla manifestazione promossa al Pantheon da Articolo 1 e da Sinistra italiana: «Con 308 voti Berlusconi salì al Quirinale, nessuno di Forza Italia se lo ricorda?», ha detto in piazza Bersani. E Massimo D’Alema ha chiosato: «Gentiloni dipende politicamente da Renzi». Ma le critiche contro lo strappo imposto dal governo sono esplose anche nel Palazzo, dentro lo stesso Pd: non hanno votato la fiducia alcuni dem (Cuperlo, Giorgis, Lattuca, Marco Meloni, Bolognesi, Bonomo, Casellato, Librandi, Monaco, Pollastrini, Battaglia) ma le osservazioni più severe, sull’impossibilità di modificare la legge in Parlamento, sono arrivate dal senatore a vita Giorgio Napolitano che è stato molto netto nel suo giudizio: «La fiducia» produce un «ambito pesantemente costretto in cui qualsiasi deputato oggi, o senatore domani, può fare valere il suo punto di vista e le sue proposte...».
A Napolitano — che si farà sentire al Senato dove la legge elettorale arriverà martedì 17 se la Camera concluderà nei tempi previsti — ha risposto indirettamente il segretario del Pd, Matteo Renzi, che in questa partita è tornato a dare le carte: «Il voto di fiducia è una possibilità che la legge consente. Non ho visto facce sconcertate quando si è messa la fiducia sulla riforma del codice penale». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella — che non intende entrare nelle dinamiche governo-Parlamento — si è limitato a ricordare rivolto all’assemblea dell’Anci che «la forza della democrazia sta proprio nella coscienza dell’interesse generale, che mai va smarrita nel confronto, a volte aspro, sui cambiamenti da realizzare».