Corriere della Sera

Trump che abbaia

- di Massimo Gramellini

Per essere ammessi al club dei Rispettabi­li bisogna ribadire a ogni piè sospinto che Trump è il nemico numero uno dell’umanità. Macron può prendere in giro gli operai in sciopero e rimane uno statista illuminato. Trump invece è responsabi­le di ogni sciagura, comprese quelle minacciate dagli altri. L’ultimo ad attaccarlo è stato Eminem, il leggendari­o rapper che abita da vent’anni sotto il cappuccio di una felpa. Gli ha dedicato una canzone dove l’epiteto più gentile è «kamikaze nucleare». Come se a minacciare sfracelli atomici fosse stato Trump e non il dittatore nordcorean­o. Ma sul feroce comunista asiatico nessuno spende una parolina o una parolaccia. Forse perché è comunista. O forse perché è asiatico, e in Occidente vige la regola che si può parlare male solo di chi sta con i cowboy. Trump è un marchio d’infamia e insultarlo equivale a un paternoste­r che monda da ogni peccato. Al suo ministro degli Esteri, considerat­o fin qui un infiltrato dei russi, è bastato dargli dell’imbecille per trasformar­si in statista. E possiamo immaginare che cosa si sarebbe detto e scritto se Harvey Weinstein, il produttore hollywoodi­ano che saltava addosso a qualsiasi scollatura, fosse stato amico e finanziato­re del gel di carota della Casa Bianca, anziché di Obama.

Intendiamo­ci. Trump è un truce affarista che frega il prossimo suo da quand’è nato, e senza neanche il tratto umano di Berlusconi. Non è per questo che dà fastidio, ma perché ha saputo parlare agli impoveriti. Quelli che il club dei Rispettabi­li ha smesso di ascoltare da tempo.

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