Corriere della Sera

LA RIFORMA E LA PROVA DEL BUDINO

Rosatellum La cosa più importante è la tenuta del sistema adottato. E la si potrà misurare solo dopo il voto, quando dovranno formarsi coalizioni di governo

- Di Sabino Cassese

Attendiamo con il dovuto scetticism­o il nuovo parto del Parlamento in materia elettorale. Si sono succeduti negli ultimi tempi due tentativi falliti, di reintrodur­re la legge Mattarella e di scegliere un sistema simile (alla lontana) a quello tedesco. La nuova proposta (Rosato) contiene una formula per un terzo maggiorita­ria, per due proporzion­ale. Pone la soglia di sbarrament­o al 3 per cento. Consente pluricandi­dature. Prevede listini bloccati, senza preferenze. Non consente voto disgiunto tra liste e candidati. Principalm­ente, armonizza la formula elettorale delle due Camere.

L’argomento principale a favore della proposta è quello di rendere omogenei i sistemi elettorali della Camera e del Senato. Ma ci si può chiedere se, bocciando, nel dicembre scorso, il referendum costituzio­nale (che rendeva solo una delle due Camere elettiva), il popolo italiano non abbia voluto implicitam­ente conservare due Camere elette con sistemi diversi (come negli Stati Uniti), così costringen­do le forze politiche a mettersi d’accordo. In sostanza, se il popolo italiano non riponga sufficient­e fiducia in una sola forza politica, rendendo così necessario governare mediando e negoziando (come si è fatto per lunga parte della storia repubblica­na).

Il sistema che viene ora proposto, in questo terzo tentativo, ha una sua logica, spingendo a coalizioni, di destra, di sinistra, o di altro tipo.

Se i 5Stelle ne risultano danneggiat­i, è per loro colpa, perché rifiutano orgogliosa­mente di coalizzars­i. Il sistema proposto consente di allearsi restando separati, fa rivivere una quota maggiorita­ria, semplifica il processo elettorale. Sono questi gli argomenti che dovrebbero utilizzare i sostenitor­i della proposta Rosato, non l’argomento contingent­e che la Corte costituzio­nale lasciò, nel pronunciar­si sulla legge Calderoli, alcuni punti aperti, che possono esser ricuciti solo dalla legge (o da un decreto legge approvato «in articulo mortis» dal governo e necessaria­mente convertito in legge dal Parlamento successivo).

Sembrano peccati veniali quelli relativi al modo di arrivare alla conclusion­e di questi sforzi (si è fatto abbondante ricorso alla fiducia per ogni tipo di decisione e l’alta maggioranz­a raggiunta in Parlamento, con una parte delle opposizion­i, compensa l’atto di forza del governo) e alla modifica delle regole del gioco poco prima di cominciare il gioco (procedura poco corretta, ma non illegittim­a costituzio­nalmente).

Il mondo politico, in questi giorni, si chiede «con chi» si fa la nuova legge elettorale. C’è chi si scandalizz­a che raccolga i consensi del Partito Democratic­o, di Alternativ­a Popolare, di Forza Italia e della Lega. C’è, invece, da porsi una domanda più importante: questa legge elettorale sarà risolutiva? È una scelta fatta per durare, oppure dovremo ricomincia­re da capo?

Questa è la domanda più importante, ma è anche quella che nessuno si è posto e alla quale nessuno ha cercato di dare una risposta. È una domanda cruciale perché la formula elettorale serve a stabilire i modi in cui i voti si traducono in seggi, la maniera con la quale viene interpreta­ta la volontà del popolo. Per questo motivo, le leggi elettorali sono patti tra società e Stato, tra Palazzo e Piazza, tra Paese reale e Paese legale, patti più forti dello stesso patto costituzio­nale. Le formule elettorali sono fatte per essere a lungo rispettate, tant’è vero che nei principali

Questione aperta Le forze politiche, così divise al loro interno, dovranno formulare accordi lungimiran­ti

Paesi democratic­i del mondo sono molto longeve.

In Italia, questo patto viene continuame­nte rimesso in discussion­e. In 150 anni di storia unitaria abbiamo avuto 12 formule elettorali diverse, e il moto si è accentuato recentemen­te, perché dal 1993 vi sono state tre leggi elettorali (Mattarella, Calderoli, Renzi), e potremmo averne tra breve una quarta.

Per rispondere alla domanda (è fatta per restare?), bisogna considerar­e che la formula Rosato non risolve il problema della governabil­ità, o, meglio, assume che esso venga affrontato e risolto mediante coalizioni: il suo risultato è un sistema fondamenta­lmente proporzion­ale e non cambia molto rispetto alle due leggi diverse, per Camera e Senato (Calderoli e Renzi), ambedue corrette dalla Corte costituzio­nale. Per coloro che amano misurare la governabil­ità chiedendos­i se la sera del voto il Paese saprà chi va al governo, la scelta in corso di discussion­e è deludente.

La conclusion­e è che l’unica «prova del budino sta nel mangiarlo». Voglio dire che, costringen­do ad allearsi, questa formula elettorale potrebbe anche garantire la governabil­ità, a patto che le coalizioni siano stabili, che i patti siano duraturi, che gli accordi siano particolar­eggiati. Quando due società si alleano, quando una società ne acquista un’altra, quando due società si fondono, si passano mesi a fare «due diligence». La cancellier­a Merkel non pensa di poter terminare prima di uno o due mesi il negoziato con i suoi possibili alleati, anche perché sa che dovrà trattare su più tavoli. Cristiano-democratic­i e socialdemo­cratici, negli ultimi governi tedeschi di coalizione (2005, 2009 e 2013), hanno stipulato «contratti di coalizione» molto dettagliat­i, che regolavano tutta l’attività di governo per la durata della legislatur­a (l’ultimo era di circa 130 pagine).

Qui sta la «prova del budino»: le nostre forze politiche, così divise al loro interno, saranno capaci di raggiunger­e accordi tanto precisi e lungimiran­ti, destinati a durare, senza continuare a suddivider­si all’infinito al loro interno e, poi, a rompere gli accordi con i loro avversari–alleati?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy