Corriere della Sera

Arroccata

- Elisabetta Rosaspina

Soraya Sáenz de Santamaría, 46 anni, è la vicepresid­ente del governo centrale che rifiuta qualsiasi mediazione nei confronti dei ribelli della Generalita­t. Soraya, che è un’avvocata, è un’esperta di autonomie locali e chiede che sia immediatam­ente ripristina­ta la legalità e la democrazia in Catalogna DALLA NOSTRA INVIATA

Da tempo più nessuno osa chiamarla la «niña» di Mariano Rajoy, la «bambina» del premier. Soraya Sáenz de Santamaría è diventata la donna più potente di Spagna, la vicepresid­ente del governo centrale e, per il suo attuale avversario, il presidente del governo catalano, Carles Puidgemont, il cerbero che non cede di un millimetro sul terreno sempre più scivoloso per i ribelli della Generalita­t: la legge. Ha promesso «tutte le misure necessarie per ripristina­re la legalità e la democrazia in Catalogna», ha assicurato che «nessuna mediazione è possibile tra la democrazia e l’imposizion­e, tra la legge e la disobbedie­nza». Ha attaccato la sindaca di Barcellona, Ada Colau, accusandol­a di aver «consegnato il municipio alla causa indipenden­tista». Ha tagliato corto alle richieste dei parlamenta­ri di Podemos per una mediazione nella crisi istituzion­ale che sta scuotendo il Paese: «Questa Camera non ha bisogno di mediatori. I mediatori di questa Spagna che voi dite di voler difendere, sono tutti seduti in questo scranno e con loro si deve parlare». Ha difeso da una valanga di critiche il discorso di re Felipe VI, dopo la domenica di rabbia e violenza del primo ottobre, quando le urne clandestin­e sono spuntate dai loro nascondigl­i e i catalani hanno sfidato Madrid e l’ordine costituito. Ha difeso perfino la polizia che, probabilme­nte, eseguiva gli ordini prendendo a manganella­te i votanti, ma i cui eccessi hanno richiesto le scuse del ministro dell’Interno. Soraya Sáenz de Santamaría è un osso duro, nonostante l’aspetto materno e la disinvoltu­ra con cui ha chiuso la campagna elettorale del suo partito, la scorsa estate, scatenando­si a fianco del dj Pulpo nel meeting finale di Madrid

Sono passati 17 anni dall’estate in cui, nemmeno trentenne, la giovane avvocata dello Stato, originaria di Valladolid, salì sul pullman diretto da Léon a Madrid, per andare a insegnare Diritto amministra­tivo all’Università Carlo III della capitale. Il Partito popolare cercava consiglier­i giuridici e Soraya era la candidata perfetta. La risposta a Podemos Questa Camera non ha bisogno di mediatori Con noi si deve parlare

Preparata, instancabi­le, entusiasta, decisa, discreta e, come avrebbe presto scoperto Rajoy, all’epoca vice primo ministro nel governo di José Maria Aznar, assolutame­nte leale.

Soraya si è fatta strada senza badare alle antipatie che generava nel suo stesso partito, conservato­re e ancora riluttante a cedere poltrone importanti alle donne. Come segretaria della politica territoria­le del Pp, è un’esperta di autonomie locali e, certamente, non è estranea al ricorso che i popolari presentaro­no nel 2006 al Tribunale Costituzio­nale contro la riforma dello Statuto catalano. Puigdemont lo sa. Sa che in questa causa di divorzio, Madrid è difesa da un avvocato potente e implacabil­e.

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