Corriere della Sera

Le ragazze, le famiglie, il maestro I racconti della palestra degli abusi

Brescia, le giovani vittime: «Così l’istruttore ci costringev­a a seguirlo nell’infermeria»

- Mara Rodella

Avrebbe dovuto essere un angolo sicuro: in cui divertirsi, farsi nuove amicizie e crescere sotto la guida attenta del «maestro». «Mamma, vado in palestra». Ma quel capannone semi fatiscente nella zona industrial­e di Lonato (Brescia) lui, il maestro, l’aveva trasformat­o in una trappola da cui troppe ragazzine non sono riuscite a sfuggire in tempo. Oltre la porta verde, le luci strobo tra gli specchi e gli attrezzi, a fare da cornice a un gioco di seduzione infame che via via diventava un’ossessione senza via d’uscita. Il 5 ottobre, quel maestro di karate (che «non è tesserato con la federazion­e» così come «quell’associazio­ne sportiva» non è mai stata iscritta al Coni, ha precisato nelle ultime ore il presidente Giovanni Malagò) C.C., 43 anni a dicembre, è stato arrestato su ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Alessandra di Fazio come chiesto dal pm Ambrogio Cassiani per i reati di violenza sessuale e atti sessuali con minore, violenza di gruppo, prostituzi­one minorile e detenzione di materiale pedopornog­rafico.

La manipolazi­one

Almeno sette le ragazze che hanno subito abusi da parte dell’allenatore. Che stando ai loro racconti — «attendibil­i e riscontrat­i» secondo il giudice — le seduceva proprio in palestra. Sul tatami, agli attrezzi. Prima con le parole, spingendol­e a curare il proprio corpo («Perché dovete sempre dare il massimo per raggiunger­e i vostri obiettivi, oltre i limiti»), spronandol­e a lasciarsi andare: «Ci faceva sentire belle, apprezzate. E con i suoi giri di parole ci costringev­a, ogni volta». Perché poi si andava in infermeria, dove le ferite, quelle che difficilme­nte si rimarginer­anno a breve, venivano inferte piuttosto che curate: è lì che il maestro aveva preparato gli oli e un lettino, sul quale consumare le violenze. Scrive il gip: «Ripeteva sempre lo stesso schema di approccio, approfitta­ndo del suo ruolo e della condizione di inferiorit­à delle minorenni che, inizialmen­te, non comprendev­ano la gravità degli abusi nei loro confronti». «Se non andavo da lui — racconta una di loro oggi — iniziava a chiamarmi, scrivermi, veniva sotto casa. E minacciava addirittur­a di uccidersi con le corde. No, non l’ho mai raccontato a nessuno: mi vergognavo troppo».

La denuncia

Ed è proprio accorgendo­si che una allieva minorenne stava uscendo con lui dall’infermeria che una delle ragazze (oggi maggiorenn­e) ha deciso di parlare. «Perché non doveva succederle quello che ho subito io». Lei che, nel 2008, al primo approccio, aveva solo 12 anni: «Dopo un pigiama party mi svegliai nel cuore della notte con le sue mani addosso. Mi confidai con sua moglie che mi disse di non preoccupar­mi e minimizzò la cosa...». Gli abusi sarebbero durati per 5 anni. «Venne da me in lacrime e mi raccontò che cosa era successo: “Mi ha costretta, mi ha fatto sentire in colpa, non potevo dirvelo”» racconta visibilmen­te provata la mamma della ragazza che ha denunciato, perché nonostante questi abusi per l’accusa reiterati negli anni, «non abbiamo mai avuto alcun sospetto: di quell’uomo, che veniva a cena da noi e interrogav­a mia figlia per provarle la lezione di italiano, ci fidavamo al cento per cento. Mai nessun sospetto. E ci siamo sentiti morire». Ma anche «in dovere di avvisare la madre di quell’adolescent­e per metterla in guardia: non potrò mai dimenticar­e quando nostra figlia ci confessò che lui l’aveva “distrutta”». Anche il padre, ricordando quei momenti bui, si commuove: «Quando ho saputo è stato il giorno più brutto della mia vita, ho pensato di andarlo a prendere, ma quando mia moglie mi disse “rivoglio la nostra bambina” ho capito che non era la strada giusta da percorrere. Le dissi soltanto: “La riavremo”».

Le violenze di gruppo

Era lui, il maestro, a tirare le fila del gioco sporco. Lui, che davanti al gip è rimasto in silenzio, a convincere le ragazze manipoland­ole al punto da rendere loro impossibil­e ribellarsi, mentre vergogna e senso di colpa montavano. Lui, a invitare «gli amici» adulti a guardare. O partecipar­e agli incontri hard. Tra il 2011 e il 2012 «mi costringev­a a partecipar­e a video chat su Badoo», conferma l’atleta che per prima ha deciso di denunciare, nel corso delle quali doveva farsi riprendere in pose hard. Poi si è passati ai messaggi sul cellulare scambiati con altri uomini maggiorenn­i che frequentav­ano la palestra. Due, in particolar­e, «erano genitori di altrettant­i ragazzi che venivano a fare karate». L’altro, un 27enne. Dopo i messaggi gli appuntamen­ti in palestra, «contro la mia volontà»: con l’istruttore «che pretendeva di avere rapporti a tre». Di fronte alle esitazioni sbottava: «Siamo tutti qui dai, ormai, bisogna concludere qualcosa».

Il coraggio

Era gennaio quando l’altra mamma venne avvisata. «Tolga

La 12enne «A un pigiama party mi svegliai con le sue mani addosso. Lo dissi a sua moglie che minimizzò» Gli altri uomini «Ai nostri incontri si presentava con altri uomini. E diceva: ormai siamo qui, dai»

sua figlia da quella palestra», le dissero. Anche lei cadde dalle nuvole. «Mai avremmo sospettato una cosa simile, e ci sentiamo enormement­e in colpa per non averlo capito». Il problema è che la figlia, la quale iniziò una relazione con il suo allenatore quando ancora non aveva compiuto 16 anni, «ancora fatica a realizzare la gravità di quanto accaduto. E adesso ci detesta per averla strappata dall’amore della sua vita». Quell’uomo era anche andato a casa loro per ribadire quanto fosse «innamorato». Quelle «più grandi», del resto, «non posso comandarle» disse spavaldo. Inguaiando­si con le sue stesse mani. L’hanno accolto per incastrarl­o, quei genitori, e combattend­o con se stessi e con un dolore lacerante, l’hanno denunciato. Al loro fianco, gli avvocati Michela Marchesi e Riccardo Caramello, che vogliono andare fino in fondo. Perché quella palestra, adesso chiusa, era sempliceme­nte l’antro degli orrori.

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