Corriere della Sera

POLEMICA SULLE TESSERE PD DOPO GLI ISCRITTI CINESI ORA TOCCA AI MERIDIONAL­I

- Di Marco Demarco

Eccolo che riaffiora. Il pregiudizi­o antimeridi­onale è come un pallone difficile da tenere sott’acqua. Prima o poi sfugge alla pressione. È una vecchia storia risalente ai tempi del Guiscardo che quelli del Sud li definiva «caccarelli e merdaçoli parvique valoris». Di scarso coraggio, diciamo. O prima ancora, quando Campania e Sicilia erano le «indias de por acá», ciò che l’India era per i gesuiti missionari. E che continua nell’età dei Lumi, quando i meridional­i sono in gran parte lazzari. O dopo, quando diventano «dolicocefa­li», per dirla alla Lombroso. Solo che ora il pallone del pregiudizi­o è riaffiorat­o a Bologna. Nella civilissim­a e accoglient­e città di Dozza e Zangheri. Anche qui, come a Padova, secondo un tweet poi ritirato, ci sarebbe chi non affitta a stranieri, gay e meridional­i. Ma vatti a fidare dei social. È tutto vero, anche se non ci sono nomi e indirizzi? O è tutto falso, sebbene sembri verosimile? Quel che è certo è cosa è successo, in un Pd in piena campagna congressua­le, tra l’attuale sindaco, Merola, e il segretario provincial­e, Critelli. In questo caso, i meridional­i — curiosamen­te tirati in ballo da altri meridional­i di origine — sembrano aver preso il posto che nelle passate polemiche di partito fu degli iscritti cinesi. A sentire Virginio Merola, nato a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, frotte di Esposito, Russo e Nisticò si sarebbero trasferite da tutto il Sud a Bologna per prendere d’assalto i circoli pd, conquistar­ne la maggioranz­a, e votare in massa, a partire da oggi fino al 22 ottobre, per Franco Critelli, nato a Catanzaro, segretario del partito in cerca di riconferma. Il sindaco: «Io non so come andrà a finire questo congresso, ma vedo molte iscrizioni di gente che viene dalle mie parti». Il segretario: «I meridional­i? E che dire delle otto donne dell’Est venute a bussare per iscriversi a un partito di cui nulla sapevano?». Una bella gara in nome di un tesseramen­to che al tempo del politicall­y correct si sarebbe forse detto «glocal».

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