Il pittore, lo scultore e il nobile E l’arte si fece «gesto politico»
L’identità dell’ex Serenissima ricostruita con un’operazione culturale
soppressione degli ordini religiosi, le spoliazioni napoleoniche e le innumerevoli cessioni private di opere da parte di famiglie facoltose, indebolirono una città nella quale, da sempre, l’arte e il commercio erano state due anime parallele, quasi in simbiosi. Per di più, ai primi dell’Ottocento, dipinti e sculture del territorio veneto presero la via di Milano, perché andarono ad arricchire la Pinacoteca di Brera, in procinto di diventare il museo principale del Regno d’Italia.
Che cosa stava succedendo? Era un declino difficile da analizzare, perché la ex Serenissima si trovava ad affrontare una perdita non quantificabile né valutabile attraverso gli sghei: quella dell’identità. Fu questa la straordinaria intuizione che mosse i tre protagonisti di questa storia: Antonio Canova, scultore che all’epoca era all’apice della fama; Leopoldo Cicognara, già politico operante in Milano e di nobili origini, appassionato d’arte; Francesco Hayez, «pupillo» di Canova, pittore inquieto e brillante, un po’ scavezzacollo. Si deve a questi tre l’impegno sociale, politico ed economico che porterà alla nascita di un museo come quello delle Gallerie dell’Accademia, inaugurato esattamente duecento anni fa, nell’agosto del 1817.
«I tre si resero conto che, da una parte bisognava arginare