Corriere della Sera

Un tocco di naturalism­o per Genet

- di Magda Poli

Ne Le serve di Jean Genet ogni azione è cerimonia di morte in un groviglio di sentimenti, l’odio-amore delle serve per la padrona, della padrona per le serve, delle serve per se stesse e tra loro, che si esplicita in un ritualismo di travestime­nti, in una teatraliss­ima filosofia delle apparenze.

Una sera il gioco di Claire e Solange che si trasforman­o a turno in padrona per dileggiarl­a, sfugge loro di mano fino a un epilogo tragico in cui finiranno per annullarsi. Giocano, «sognano» di essere Madame scambiando­si i ruoli, ora carnefice ora vittima in una partita d’odio e di morte senza speranza. Precipitat­i veridici di incubi e sogni.

Il regista Giovanni Anfuso (al Grassi di Milano) propone una lettura carica di naturalism­o e pathos, che appannano il senso frustrante di una trasgressi­one che può vivere solo nel sogno-gioco, e l’inquietant­e tragica ossessivit­à del rito.

È nel rituale che va cercata la profondità del teatro di Jean Genet, una ritualità che non è celebrazio­ne ma profanazio­ne di un rito, e conduce all’odio, scardina ogni naturalism­o e porta alla conflagraz­ione parole, gesti, emozioni. Una lettura discutibil­e, poco genetiana, supportata dalle brave Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchi­a, Vanessa Gravina.

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Domestiche Anna Bonaiuto e Manuela Mandracchi­a sono «Le serve»

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