Tristano e Isotta: i due borghesi del regista Guth
Il teorema Tristano=Wagner, Isotta=Mathilde Wesendonck (l’amante del musicista), Re Marke=Otto Wesendonck (il marito di lei) è un po’ forzato. Ma l’ambientazione borghese a mezzo Ottocento (a Villa Wesendonck, presso Zurigo, dove questa messinscena era stata varata) il regista Claus Guth la realizza da autentico maestro, rivelando mano felice in numerosi dettagli: i fermo-immagine, la scena «del giudizio», le introspezioni psicanalitiche. Tutte cose che riflettono meglio di un trattato la concezione rivoluzionaria, antiborghese appunto, di Wagner su amore e morte. Si capisce dunque perché il Regio di Torino abbia scelto questa messinscena di Tristano e Isotta come spettacolo inaugurale della propria stagione.
La parte musicale è tutta farina del sacco sabaudo, in ogni caso. Ed è una pregevole farina. Manca, all’orchestra del Regio, la profondità di suono, il peso, l’attitudine all’affondo proprie delle orchestre wagneriane. E la gamma dei colori, di conseguenza, ne risulta un po’ sacrificata. In compenso Gianandrea Noseda, oltre a rispettare la sintassi dei tempi e dei fraseggi, sa trovare un «legato» morbido e flessibile, ideale nel dare anima all’infinito procedere delle linee. Più orizzontalità che verticalità, dunque, nella sua prova, più contrappunto che armonia. E questo non è pregio da poco. A maggior ragione perché le voci del sempre avvincente Peter Seiffert (lui), Ricarda Merbeth (lei) e Steven Humes (l’altro), sono perfette, se non tecnicamente, sul piano stilistico. E tra i deuteragonisti vi è un Kurwenal, Martin Gantner, a dir poco eccezionale. Meritati i lunghi applausi.