Corriere della Sera

Monaco: «Cominciò Veltroni a cambiare il progetto Romano voleva un’altra cosa»

- di Alessandro Trocino

Franco Monaco, lei è un prodiano della prima ora e in Parlamento da prima che nascesse il Pd: è stato invitato al decennale del Pd?

«No. Ma non avevo questa pretesa, visto che sono notoriamen­te molto critico su questo Pd, che è diverso da quello che ci eravamo immaginati nel solco dell’Ulivo».

L’assenza di Romano Prodi e Arturo Parisi fa polemica.

«Può dispiacere. Ma ci può stare che noi, che abbiamo speso 15 anni della nostra vita parlamenta­re a immaginare altro, non si sia stati invitati. Del resto, mi attenderei più che una celebrazio­ne, una riflession­e autocritic­a su un approdo così distante dal sogno che più di venti anni fa un’esigua pattuglia di visionari aveva coltivato, nonostante diffuse resistenze».

Qual era questo sogno?

«Per anni, in solitudine, abbiamo sostenuto la necessità di accelerare nella direzione di un soggetto politico di centrosini­stra, nitidament­e alternativ­o al centrodest­ra, dentro una democrazia competitiv­a e dell’alternanza».

Non è andata così.

«Oggi il profilo identitari­o, il posizionam­ento e le politiche del Pd sono molto distanti da quelle prospettat­e».

Responsabi­lità di Renzi?

«Renzi ci ha messo del suo, ma le premesse le ha poste Veltroni: sotto la formula della vocazione maggiorita­ria, ha sviluppato una velleitari­a presunzion­e di autosuffic­ienza. E un bipartitis­mo sistemico che non è congeniale alla storia politica italiana. Prodi aveva in testa e ha praticato le coalizioni. Il Pd, nel centrosini­stra, doveva essere il pivot, senza la pretesa della reductio ad unum».

Dunque, già alle origini il Pd era così.

«No, all’inizio c’era una discussion­e aperta. Poi Veltroni ha scelto quella strada. E Renzi ha proseguito con la presunzion­e di autosuffic­ienza, tardivamen­te smentita l’altro giorno. Ma naturalmen­te Renzi ha un altro difetto».

Quale?

«Ha esercitato una leadership divisiva, invece che federativa, come fece Prodi. Difetto che non è imputabile a Veltroni e a Bersani, tutte figure con un’attitudine federativa».

L’Ulivo è un ricordo.

«Lo slogan del primo Ulivo era: “Uniti per unire”. Oggi il Pd è la forza che divide il centrosini­stra».

E la legge elettorale?

«Non l’ho votata. La considero una cattiva legge. La fiducia è stata una lacerazion­e, uno strappo. Un altro degli slogan dell’Ulivo era che le regole si scrivono insieme: tutto tranne che incassarle a colpi di fiducia. Nella legge c’è una ambigua apertura alle coalizioni, ma non si tratterà di coalizioni politiche con un programma, un simbolo e un leader condivisi. Si tratta di un escamotage. È altamente probabile che il giorno dopo, le coalizioni si spaccheran­no».

Abbiamo speso 15 anni della nostra vita parlamenta­re a immaginare altro, ci sta che non ci abbiano invitato Con la formula della vocazione maggiorita­ria è stata sviluppata una velleitari­a idea di autosuffic­ienza

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