Monaco: «Cominciò Veltroni a cambiare il progetto Romano voleva un’altra cosa»
Franco Monaco, lei è un prodiano della prima ora e in Parlamento da prima che nascesse il Pd: è stato invitato al decennale del Pd?
«No. Ma non avevo questa pretesa, visto che sono notoriamente molto critico su questo Pd, che è diverso da quello che ci eravamo immaginati nel solco dell’Ulivo».
L’assenza di Romano Prodi e Arturo Parisi fa polemica.
«Può dispiacere. Ma ci può stare che noi, che abbiamo speso 15 anni della nostra vita parlamentare a immaginare altro, non si sia stati invitati. Del resto, mi attenderei più che una celebrazione, una riflessione autocritica su un approdo così distante dal sogno che più di venti anni fa un’esigua pattuglia di visionari aveva coltivato, nonostante diffuse resistenze».
Qual era questo sogno?
«Per anni, in solitudine, abbiamo sostenuto la necessità di accelerare nella direzione di un soggetto politico di centrosinistra, nitidamente alternativo al centrodestra, dentro una democrazia competitiva e dell’alternanza».
Non è andata così.
«Oggi il profilo identitario, il posizionamento e le politiche del Pd sono molto distanti da quelle prospettate».
Responsabilità di Renzi?
«Renzi ci ha messo del suo, ma le premesse le ha poste Veltroni: sotto la formula della vocazione maggioritaria, ha sviluppato una velleitaria presunzione di autosufficienza. E un bipartitismo sistemico che non è congeniale alla storia politica italiana. Prodi aveva in testa e ha praticato le coalizioni. Il Pd, nel centrosinistra, doveva essere il pivot, senza la pretesa della reductio ad unum».
Dunque, già alle origini il Pd era così.
«No, all’inizio c’era una discussione aperta. Poi Veltroni ha scelto quella strada. E Renzi ha proseguito con la presunzione di autosufficienza, tardivamente smentita l’altro giorno. Ma naturalmente Renzi ha un altro difetto».
Quale?
«Ha esercitato una leadership divisiva, invece che federativa, come fece Prodi. Difetto che non è imputabile a Veltroni e a Bersani, tutte figure con un’attitudine federativa».
L’Ulivo è un ricordo.
«Lo slogan del primo Ulivo era: “Uniti per unire”. Oggi il Pd è la forza che divide il centrosinistra».
E la legge elettorale?
«Non l’ho votata. La considero una cattiva legge. La fiducia è stata una lacerazione, uno strappo. Un altro degli slogan dell’Ulivo era che le regole si scrivono insieme: tutto tranne che incassarle a colpi di fiducia. Nella legge c’è una ambigua apertura alle coalizioni, ma non si tratterà di coalizioni politiche con un programma, un simbolo e un leader condivisi. Si tratta di un escamotage. È altamente probabile che il giorno dopo, le coalizioni si spaccheranno».
Abbiamo speso 15 anni della nostra vita parlamentare a immaginare altro, ci sta che non ci abbiano invitato Con la formula della vocazione maggioritaria è stata sviluppata una velleitaria idea di autosufficienza