Corriere della Sera

IL PARADOSSO DI UN PARTITO IN CONFLITTO CON I PADRI NOBILI

- Di Massimo Franco

Forse dipende soprattutt­o dalla riforma elettorale e dalla scissione: sebbene si abbia l’impression­e di una rottura più di fondo. È un fatto che la festa del decennale del Pd oggi avviene nell’assenza o nel silenzio ostile dei suoi «padri nobili». Si tratta della certificaz­ione di una forza che ha deciso di emancipars­i dai suoi personaggi-simbolo; e che è coprotagon­ista di quella scomposizi­one a sinistra vissuta in gran parte dei Paesi europei. Colpisce che sia il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, sia l’ideologo di quella operazione, Arturo Parisi, oggi non ci saranno.

Né ci sarà l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che si prepara a parlare in Senato contro la legge voluta dal Pd, e appoggiata dal Quirinale. Se si aggiungono le autoesclus­ioni traumatich­e di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, registi della scissione dai dem, risalta l’immagine di un partito di «parricidi»: una realtà che la presenza di Walter Veltroni non basta a bilanciare. E, probabilme­nte uno degli effetti secondari dello scontro sul nuovo sistema di voto finirà per sovresporr­e presto la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso.

La richiesta di fiducia sulla riforma a Palazzo Madama farà apparire in bilico anche la terzietà del presidente del Senato: come la fiducia alla Camera ha schiacciat­o sul Pd il premier Paolo Gentiloni. Il mancato invito a Prodi e allo stesso Parisi è probabilme­nte frutto solo di «sciatteria», sottolinea piccato l’ex ministro: al punto da definire l’appuntamen­to odierno «invece di un giorno di festa, un giorno di lutto»; e con un giudizio durissimo sul cosiddetto Rosatellum, «grave nel merito e nel metodo», secondo Parisi.

Sono le parole deluse di un ostinato difensore del maggiorita­rio. Di fronte a una legge che apre la strada a un ritorno al proporzion­ale e a governi assimilabi­li all’unità nazionale, si percepisce la fine di un’epoca. Ma c’è, altrettant­o trasparent­e, il timore di una reale ingovernab­ilità. La convinzion­e di alcuni dei «padri nobili» è che la forzatura delle ultime ore in Parlamento sia stata probabilme­nte una scelta inevitabil­e; e tuttavia foriera di altri strappi, e riflesso di una crisi dei partiti tradiziona­li in tutta Europa.

Il ridimensio­namento secco dei socialdemo­cratici alle ultime elezioni in Germania, e l’affanno perfino della cancellier­a Angela Merkel e della sua Cdu, sono segnali d’allarme: come lo era stato la vittoria del movimento trasversal­e di Emmanuel Macron in Francia, nonostante l’argine decisivo contro l’ultradestr­a. La sinistra ne è uscita umiliata. Prodi, d’altronde, ha notato di recente che approvare una riforma in extremis, percepita come un’alleanza di «tutti contro i Cinque Stelle», sarebbe stato un regalo al M5S. Dalle reazioni feroci e grevi di Beppe Grillo, si intuisce una gran voglia di «venderla» così. Le elezioni diranno chi ha sbagliato i calcoli.

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