Corriere della Sera

Quei figli nati prigionier­i e la vita bella come nei film

- Di Michele Farina

Nascere e crescere prigionier­i dei talebani: è la vita toccata in sorte ai tre figli dell’americana Caitlan Coleman e del canadese Joshua Boyle. Tutti e cinque finalmente liberi, dopo cinque anni passati sui monti tra Afghanista­n e Pakistan. Che cosa ricorderan­no di quella esperienza? La più piccola, che ha 2 mesi, quasi nulla. I due fratellini più grandi, di 4 e 3 anni, forse ricorderan­no la prigionia come un gioco. Anzi come un film. Un film italiano. Questo è stato l’intendimen­to dei genitori, due trentenni con lo zaino (più che la testa) sulle spalle entrati in una storia più grande e più sporca dei loro sogni. La storia che hanno raccontato in questi anni ai loro figli, invece, non ha niente a che fare con la verità vera o presunta del loro sequestro, il loro viaggio avventato, le fascinazio­ni per il qaedismo, il Pakistan, l’America. È la storia di una nobile fiction, di un gioco a premi. Per tenere alto il morale dei bambini «gli abbiamo detto credere che la nostra vita fosse tutta un giocare a Beautiful Life», ha raccontato il padre Josh. Il riferiment­o, secondo amici e familiari, va alla Vita è bella di Roberto Benigni, uno dei film italiani più conosciuti al mondo. Life is beautiful: come nel film dove il padre Guido-Benigni faceva credere al piccolo Giosuè che il lager nazista fosse soltanto un teatro, un gioco di ruoli con tante prove da superare in vista di un grande premio finale. E al termine della finzione, senza sapere che il papà è stato fucilato, Giosuè sale davvero su un carro armato e proclama felice: «Abbiamo vinto». Appena liberati, dopo cinque anni di prigionia, i tre bambini nati e cresciuti sotto i talebani sono saliti, per la prima volta, su un elicottero. Avranno avuto paura? O l’avranno vissuto, anche loro, come il premio finale?

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