Strage di pinguini in Antartide, sopravvissuti solo 2 pulcini
Un vecchio cappello, una valigia ammaccata e un panino con marmellata d’arance. Seduto a un binario della stazione londinese di Paddington, era tutto quello che un orsetto clandestino poteva dirci sul suo passato. Eppure in quel primo episodio di A bear called Paddington, debuttato a Londra il 13 ottobre 1958, la penna di Michael Bond svela un indizio fondamentale sull’origine dell’orso più famoso d’Inghilterra: il piccolo incontra la famiglia Brown, alla quale confida di essere arrivato dal «profondo Perù», inviato dalla sua zia Lucy per cercar fortuna in Inghilterra. Ed ecco che un personaggio letterario per bambini, amabile e avventuroso, svela la sua natura meno fiabesca e più tristemente reale: Paddington — ribattezzato così perché il suo nome era impronunciabile — è un vero Tremarctos ornatus, giunto Oltreoceano dopo la morte dello zio e la distruzione della casa in cui viveva. È l’unico orso a vivere in Sudamerica e sul suo musetto mantiene perfino la caratteristica che offre a questa specie il nome comune di «orso dagli occhiali».
L’orsetto Paddington in questo 2017 compie 59 anni di successi, tradotto in 40 lingue e venduto in 35 milioni di copie. Eppure, mentre si celebra una storia editoriale lunga più di mezzo secolo, in pochi si accorgono che nel Perù di Paddington, tra le foreste pluviali ai piedi delle Ande, si sta consumando la tragedia. Nei 25 anni che vanno dal 1990 al 2005, a casa dell’orsetto si è abbattuto e riconvertito in piantagioni produttive il 28,9% degli ecosistemi forestali originari. Avanti a un ritmo di più di 94.300 ettari all’anno, quel Paese tra i più ricchi di biodiversità del globo ha visto avanzare verso l’estinzione 224 delle 2.937 specie animali originarie dei propri habitat. Nel 2012 il Perù ha superato la Colombia in quanto a ettari dedicati alle piantagioni di coca, che si fanno seguire a stretto giro da quelle di olio di palma, cacao e caffè. La riconversione di migliaia di ettari di foresta amazzonica in coltivazioni industriali sta frammentando le aree naturali, isolando le popolazioni di ogni spe-
Il numero delle persone che nel mondo soffrono la fame compie un balzo in avanti: nel 2016 sono 150 milioni, 30 milioni in più rispetto all’anno precedente. «La causa è l’effetto combinato del cambiamento climatico e dei conflitti», ha sottolineato Jose Graziano da Silva direttore generale della Fao al convegno «Clima, agricoltura e migrazioni» organizzato all’Accademia dei Lincei dal Cnr assieme al governo. Ancora peggiori sono i numeri della malnutrizione che ha colpito 850 milioni di persone. «Dopo un decennio significativo di riduzione c’è stato un rimbalzo negativo di aumento», ha ricordato il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Imputato numero uno sempre il cambiamento del clima. Un fenomeno che purtroppo non risparmia nessuno. Persino i pinguini di Adelia nell’isola di Petrel in Antartide dove vive una colonia di 18 mila animali sono stati vittime di una strage: solo due piccoli sono sopravvissuti dopo la nascita perché abbandonati dagli adulti impegnati nella ricerca del cibo in zone più remote. «Il cambiamento climatico ha forti impatti sull’agricoltura e sulle migrazioni e per questo una sinergia tra scienza e politica è fondamentale» ha ricordato Massimo Inguscio, presidente del Cnr.