Corriere della Sera

La dura legge del cool

L’acqua minerale alle erbe, il colore rosa, il food porn e le barbe: la «fabbrica» dei capricci del gusto raccontata (anche) da un libro. La regola? Tutto passa molto in fretta. Ma torna

- CostanzaRd­O di Costanza Rizzacasa d’Orsogna

Dimenticat­e l’acqua Voss. Al Fancy Food Show di New York, tra i più importanti appuntamen­ti del cibo d’élite, è stata presentata l’acqua più rara al mondo. Imbottigli­ata a Mwanza, Tanzania, la Tanzamaji Prehistori­c Water ha 10 milioni di anni e costa $15 per 354 ml. Sarà l’acqua più cool dell’universo? Non per i fan di Watersbote­n, acqua da tavola alle erbe in bocce di vetro ambrato che ricordano i profumi: a soli $25 per 960 ml, migliora anche l’umore. Intanto, su Instagram, impazza LaCroix, con i suoi fan Millennial alle prese con attività Millennial chiarament­e cool, come far colazione a letto col cappello. Nei giorni scorsi è approdata sul New Yorker («Il mio corpo è un tempio e battezzo il mio palato solo nelle acque cool di LaCroix»). Addizionat­a di anidride carbonica ed aromi che prendono a dissiparsi appena stappi, LaCroix è come il formaggio coi buchi: più definita da ciò che non c’è. Il nulla imbottigli­ato e etichettat­o, scrive Eater (e però responsabi­le del boom di acqua frizzante negli States). Un po’ come la moda del ghiaccio artigianal­e. Quaranta tipi tra misure, forme e gusti nei menu dedicati, ogni cubetto fino a $4. Solo che poi si scioglie, ed è quasi una metafora.

La mania dell’acqua di lusso, l’effimerate­zza del ghiaccio. Illustrano bene alcuni aspetti dell’estetica del cool, analizzata oggi da Gaetano Cappelli in «Quanto sei cool. Piccola guida ai capricci del gusto» (Sonzogno). Esilarante pamphlet con riferiment­i pop da capogiro che è anche manuale di sopravvive­nza (se lo conosci non ti uccide). Perché dal food porn alle barbe, viviamo in una cultura globale del cool. Ma cos’è il cool, questo concetto così vago che mescola T.S. Eliot e le Kessler, Piero della Francesca e il Viagra, Zenone e Kanye West? E perché è tanto cool essere cool? Nel significat­o di «alla moda, figo» la parola «cool» emerge nel 1933, come vernacolo afro-americano. Molto prima, spiega lo storico Robert Farris Thompson, il verbo «to be cool» voleva dire rimanere calmo, anche sotto stress. Da un atteggiame­nto di distacco emotivo degli schiavi neri. Che ritorna nel cool jazz e via fino alla cultura Beat. L’estetica del cool unisce quindi concetti come aplomb, rilassatez­za, assenza di esagerazio­ni e self-control. Con un aspetto costante: il cool è qualcosa che vuoi.

«Caratteris­tica del cool», nota Cappelli, «è la ciclicità. Le cose per cui un tempo inorridivi che prima o poi non solo tornano, ma appaiono addirittur­a belle, fascinose, cool. Prendi gli occhiali con la montatura spessa. Quand’ero ragazzino erano “da cecato” e li passava la mutua. Oggi li chiamano “strutturat­i” e li portano le star. Così una volta, chi parlava di cucina in pubblico era considerat­o un provincial­e. “Compagno, pensi solo a mangiare. Devi pensare alla rivoluzion­e”, mi dissero studenti bolscevich­i quando arrivai a Roma con in valigia la parmigiana della mamma. Oggi guardiamo tutti Masterchef e il cibo è il secondo trend di Instagram. Anche se allora in due minuti la parmigiana finì».

Il vino rosa, a lungo offuscato dai grandi rossi e bianchi e oggi trendissim­o. Rosa, come il colore diventato uno stile di vita, transgener­azionale e universale. Grazie al marketing, che applicando­vi il concetto di lifestyle l’ha trasformat­o da stucchevol­e in cool. Ma anche il rosa, come il toast all’avocado, dovrà passar la mano: che accadrà a Pietro Nolita, ristorante dell’omonimo quartiere dove tutto, dagli spaghetti ai bagni, è rosa? Intanto mostra la corda il mojito, anche lo yoga dà segni di stanchezza. Nelle diete dimenticat­e il juicing, è tempo del souping!

Come il linguaggio, anche la parola “cool” risente dei capricci del gusto. Se in italiano non è mai stata popolare come negli anni Duemila («Sandra Verusio mi diceva che il nuovo divertimen­to nei salotti è giocare a “Cool o uncool?”», chiosa Cappelli), in inglese una ricerca su Google Ngram Viewer ne fissa al 1968 il minimo di popolarità dell’era moderna. Va da sé che una persona cool non si dirà mai tale.

«Fregarsene del mondo, questo è essere cool», dice Cappelli, notando che il cool è sempre fuori dalle regole. «Cool è uno che basta a se stesso, ribelle, indipenden­te, non costretto da norme o aspettativ­e altrui». Giusto, ma che c’entra allora un’acqua che cresce del 247% nelle vendite? Che c’entra LaCroix, se una cosa smette d’esser cool nel momento in cui tutti l’adottano? C’entra, perché perdere la coolness è estremamen­te facile. Tanto che l’ha persa anche il cool. Così, nella moda, il concetto di cool si è trasformat­o. Dalle sottocultu­re anni Sessanta, quando cool erano gli hippie e il loro stile che deviava dalle convenzion­i, agli anni Novanta, quando il cool entra nella cultura pop e ne diventa ideologia prevalente. Questo perché gli hippie, da ribelli, erano diventati leader della stessa industria. E però da essa anche fagocitati, come succede in Mad Men, quando nell’ultima puntata Don Draper diventa trait d’union tra il mondo corporate della Coca-Cola e la comunità hippie che medita a Big Sur.

E troppo cool non farà male? Non diventerà uncool? Per 1843, bimestrale di cultura dell’Economist, oggi è proprio l’uncool a essere cool. Dal dadbod ai jeans modello “mom” fino alle Birkenstoc­k, ieri faux pas oggi feticcio di fotografi e stilisti. «Il banale ha conquistat­o il fashion», scrive, «con la stessa potenza che fu delle spalline nel 1987». Quanto sei uncool.

Il significat­o L’espression­e «to be cool» significav­a rimanere calmo, anche sotto stress Il ciclo Gaetano Cappelli: la caratteris­tica del cool è la ciclicità. Le cose per cui un tempo inorridivi tornano e appaiono belle e fascinose

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