Onde e ciuffi, la tavolozza di Oudolf
Le «cinque stagioni» del paesaggista tra le pellicole del Design Film Festival
Filosofia verde «Per me disegnare un giardino non significa solo piante, ma senso di contemplazione»
A lla sua scrivania, sommersa di pennarelli e matite colorate disegna spazi sgargianti, intaglia sagome curvilinee rosse e azzurre che si andranno a incuneare nelle onde viola, nelle macchie gialle e nei ciuffi arancioni. Piccole scritte un po’ sghembe, a margine, indicano i nomi dei fiori e delle piante: soffioni, margherite, spighe ed erbe resistenti sono la sua passione. Non manca nessun colore ai progetti e, alla fine, i disegni sembrano patchwork: quando da visione diventano realtà, si trasformano in giardini che, dalle due dimensioni della carta, prendono corpo dalla terra, slanciandosi verso l’alto con la leggerezza di spighe e fiori (tra le piante predilette la Sanguisorba e la Filipendula, la Cephalaria gigantea e il Thalicrum flavum).
Nella varietà di forme, colori, profumi che raccontano la magia esplosiva della natura, si capisce perché i giardini di Piet Oudolf sembrino quadri. Sono dipinti in movimento, cambiano a seconda della stagione. Ed è questo che racconta il film del regista americano Tom Piper, «Five Seasons - The gardens of Piet Oudolf», che verrà presentato al Milano Design Film Festival, dal 19 al 22 ottobre al Palazzo del Cinema. Il documentario biografico sul designer paesaggista olandese che predilige le erbacee perenni spontanee agli arbusti e agli alberi, è iniziato nel 2013 e ha subìto parecchi aggiornamenti: la versione definitiva verrà presentata a Milano, dove Piet Oudolf progetta con lo studio Inside Outside di Petra Blaisse il parco chiamato La Biblioteca degli Alberi (tra via de Castilia e via Sassetti), un intreccio di sentieri e viali dove pioppi e querce ombreggeranno le aree adibite al gioco e alla sosta, ornate da giardini fioriti, orti, composizioni perenni di erbe e cespugli che determineranno l’architettura dello spazio.
Il documentario è un viaggio lungo cinque stagioni: la quinta — la caduta — è il periodo in cui le piante sono come scheletri, in attesa che la primavera ritorni, e Oudolf spiega che nemmeno la vegetazione essiccata del tardo autunno e dell’inverno va potata o eliminata. I colori rossi e bruni, i marroni e i neri dai riflessi bronzo sono coerenti con l’accorciarsi delle giornate e, spruzzati di brina o neve, sono il simbolo della natura che dorme nel freddo più freddo dell’inverno, in attesa che ricominci il ciclo vitale. Piper ha descritto così il paesaggista: «Celebrato dagli esperti in botanica per i suoi progetti liberi, dagli ecologisti per il suo contributo alla biodiversità, dagli orticoltori per la sua impareggiabile conoscenza delle piante, dall’arte, dal design e dalla moda per la sua estetica innovativa, Piet Oudolf è un personaggio di tale influenza e rilevanza culturale che, raramente ha raggiunto — per usare le sue parole — un “modesto uomo delle piante”».
Il documentario accompagna lo spettatore attraverso le opere di Oudolf: dal suo giardino ad Hummelo, in Olanda, al verde dell’High Line di New York, da Battery Park sino a quello che considera il suo miglior lavoro, i 7.000 metri quadrati di giardino pubblico della galleria Hauser & Wirth Somerset, a Burton, in Inghilterra. Piper descrive le fonti d’ispirazione del paesaggista, dai parchi industriali tedeschi ai boschi della Pennsylvania, e lo fa in una conversazione intima, che pone lo sguardo su tutte le stagioni, sulla natura e sull’uomo. «Per me, disegnare un giardino non significa solo piante, si tratta di emozioni, atmosfera, senso di contemplazione — spiega Piet Oudolf —. Cerco di muovere le persone con quello che faccio. E questo va più in profondità di ciò che si vede. Ricorda qualcosa che è nei geni: la natura, o il desiderio per la natura».