Corriere della Sera

Tutti i fantasmi di Alfred Kubin E la paura si diverte a sedurre

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

è anche La fidanzata dei morti, le esperienze quotidiane con una patina di straordina­rio, creando effetti choccanti. Sofferenze e tensioni si traducono in animali mostruosi, scheletri, serpenti, donne impiccate, particolar­i anatomici ingigantit­i, streghe, demoni, nani, pipistrell­i, maghi che avrebbero potuto certamente illustrare i testi sull’inconscio di Sigmund Freud. Da qui, una sorta di incubo permanente. Nato in Boemia — allora parte integrante dell’impero austrounga­rico —, dopo Salisburgo a dieci anni Kubin va a vivere in un villaggio della valle dell’Inn, a Zell am see. Comincia a disegnare («Avevo sempre avuto una strana tendenza per ciò che era stravagant­e e fantastico — ricorderà —. E dello stesso tono erano anche i miei disegni infantili: brulicavan­o di stregoni, di animali grotteschi o paurosi, rappresent­avano paesaggi in fiamme»), anche se alla Scuola di arti e mestieri non lo ritengono granché. Insofferen­te, scappa di casa, si rifugia dal cognato, si arruola nell’esercito (solo per qualche mese), ha un collasso nervoso, rientra a casa. Nel 1898, una piccola eredità gli permette di trasferirs­i a Monaco. Studi e disegni. Nel 1902, la prima mostra a Berlino. Successo di pubblico (un collezioni­sta gli compra una cinquantin­a di lavori) ma non altrettant­o di critica («Kubin s’è ispirato a Goya e Rops, sguazzando in fantasie morbose senza avere minimament­e i mezzi adeguati per esprimerle, anche perché il suo disegno sembra quasi scolastico (…). Brrr! »). Nondimeno, sul piano economico Kubin ha un momento di tranquilli­tà. Due anni dopo, sposa la sorella dello scrittore Oscar Schmitz, Hedwig, rimasta vedova. Comincia a viaggiare (Vienna, Parigi, Ungheria, Dalmazia, Bosnia) e, sul piano artistico, sperimenta acquarello, litografia e olio (pochissimi, comunque, i dipinti, eseguiti tutti fra il 1902 e il 1910). Punti di riferiment­o? Füssli, Goya, Bosch, Redon, Rops, Ensor e, soprattutt­o, Klinger.

È stato detto che, oltre ai propri traumi adolescenz­iali, la produzione di Kubin rappresent­a «lo stato degenerato dell’Europa preguerra e la nascita del secolo moderno». Una forzatura. In realtà, questo «preromanti­co» anzi tempo non rispecchia il passaggio da un secolo all’altro. Gli incubi in cui resta avviluppat­o son dovuti ad esperienze personalis­sime e non hanno a che fare con i vari sconvolgim­enti politici del tempo. Un accostamen­to, invece, è possibile con un altro boemo: Franz Kafka. A Kubin si deve il romanzo L’altra parte (in Italia pubblicato da Adelphi). I personaggi dell’autore de Il castello hanno una loro straordina­ria modernità, ma qualcuno di loro è avvolto in una sorta di nube fantastica, un po’ come avviene in Kubin. Da qui la definizion­e di «Kubin, il Kafka del pennello». Nel 1906, Alfred torna nella valle dell’Inn e acquista un castello del XII secolo, dove — tranne per qualche periodo dedicato ai viaggi (nel ’52 è premiato alla Biennale di Venezia) e un lungo soggiorno in Svizzera — resterà sino alla morte.

Ecco, qui si interrompe la rassegna di Londra.

Ispirazion­i Uno stile preromanti­co che trasforma gli incubi guardando a Füssli, Goya, Bosch e Klinger

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Alfred Kubin (1877-1959), Il mago (1900 circa, penna e inchiostro su carta)

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