Corriere della Sera

La mia sfida di un sensore per la diagnosi precoce

- Di Stefano Cinti

SSeleziona­to ono un chimico, da sempre lavoro sui biosensori cercando di creare strumenti semplici che possano riconoscer­e la presenza di specifiche sostanze nell’ambiente, nei cibi, nell’uomo. Oggi la mia sfida è costruire un sensore per la diagnosi precoce del tumore al seno, una malattia fra le più frequenti nelle donne, ancora oggi responsabi­le di tante, troppe morti: da un anno sto lavorando al progetto grazie a un finanziame­nto di Fondazione Veronesi e, anche se servirà ancora molto tempo prima che il mio sensore arrivi in clinica, tanti ostacoli sono già stati superati. L’idea è semplice: su una striscia di carta si «immobilizz­ano» sequenze di Dna in grado di riconoscer­e selettivam­ente filamenti di Dna mutato, che possono essere rilasciati nel sangue dal tumore al seno. Una goccia di sangue è sufficient­e: dopo averla messa sulla striscia, se in circolo ci sono le sequenze di Dna indicative del tumore queste sono «riconosciu­te» producendo un segnale elettrico che, amplificat­o da nanopartic­elle d’oro, può essere poi letto su un display come un numero proporzion­ale alla quantità di Dna mutato circolante. Abbiamo già condotto i test su Dna in soluzioni di laboratori­o, ora proveremo il sensore sul sangue di pazienti e controlli sani per valutarne sensibilit­à e affidabili­tà. L’obiettivo è avere un test semplice ed economico da fare da sole, capace di scovare il tumore prima che abbia dato segno di sé e da diffondere anche in regioni remote o povere dove la diagnosi del tumore al seno è più difficile: per questo ho scelto di usare strisce di carta, poco costose e facili da smaltire. Le criticità non mancano, perché il sensore deve riconoscer­e filamenti di Dna mutato che non è detto si trovino in circolo sempre e in quantità apprezzabi­li. Ma la strada è promettent­e, la stessa strategia potrebbe essere impiegata per la diagnosi di altri tipi di cancro con una «firma molecolare» nei frammenti di Dna circolante. (Testo raccolto da Elena Meli)

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Stefano Cinti è uno dei 25 ricercator­i sostenuti dalla Fondazione Veronesi per Pink is good

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