Corriere della Sera

Mezzo milione di invisibili nelle periferie d’Italia

Nelle periferie italiane, tra immigrati irregolari (anche in 20 nella stessa casa) e boss di borgata I primi dati della commission­e d’inchiesta: solo a Roma 99 palazzi abusivi in mano al racket

- di Goffredo Buccini

fantasmi d’Italia sono tra noi: tanti da riempire una metropoli. Nei caruggi alcuni genovesi hanno trovato modo di farci i soldi. «Subaffitta­no a un prestanome, e quello stipa anche venti immigrati ad appartamen­to, 300 euro a posto letto... a conti fatti, seimila euro al mese per una stamberga: esentasse», dice Stefano Garassino, assessore alla Sicurezza, che due calcoli se li è fatti pure lui. Sottraendo gli iscritti all’anagrafe dalle stime dell’Amiu, la municipali­zzata che a Genova raccoglie i rifiuti, ha scoperto come tra i vicoli che si dipanano da Sottoripa ci siano almeno cinque o seimila persone in più. «Invisibili».

Il conto di Garassino ha dato la stura ai calcoli su scala nazionale della Commission­e parlamenta­re che da un anno indaga sulle periferie e ha visitato nove città metropolit­ane. Alla vigilia della relazione finale, attesa per dicembre, il presidente, Andrea Causin, sostiene che sia «prudente» stimare «fra i 400 mila e i 600 mila immigrati irregolari», invisibili appunto, nascosti nelle pieghe dei devastati suburbi italiani (40 mila nella sola Roma, 15 mila in tutto a Genova): «Attivi inevitabil­mente nell’economia illecita». Causin si prepara ad acquisire agli atti della Commission­e l’ultimo rapporto della Fondazione Ismu (che il 1° dicembre 2016 parlava già di 435 mila immigrati «non in possesso di un valido titolo di soggiorno») e i rapporti annuali della Caritas. «Quello è un altro punto di osservazio­ne privilegia­to, buono per capire: le mense», sostiene Roberto Morassut, vice di Causin. La concordanz­a tra il presidente (forzista) e il numero due (democratic­o) rafforza un’analisi che, inevitabil­mente, avrà una ricaduta politica, perché attiene al divario tra numeri dichiarati e reali e, infine, alla nostra percezione del problema.

Il muro della vergogna

Naturalmen­te le periferie di questa Italia sfilacciat­a(«non più un luogo solo fisico della città ma posti dove le marginalit­à confluisco­no», scriverà in sostanza la Commission­e pensando a quei centri urbani che, come Genova, Napoli o Bologna, pure contengono ghetti d’abbandono) raccontano anche storie di chi fa di tutto per rendersi ben visibile, proprio per dominare sugli invisibili. A Tor Bella Monaca, trincea romana, il casermone R 9 è segnato da un gigantesco murale. L’ hanno dipinto i soldati del clan Cordaro che domina quel pezzo di borgata, in onore del loro boss ammazzato in un regolament­o di conti: «Serafino sei il nostro angelo», si legge, sopra il viso barbuto del padrino che molti ragazzi, da allora, si fanno tatuare in segno d’appartenen­za. «Il murale è lì dal 2013», ha detto alla Commission­e il procurator­e antimafia Michele Prestipino, tirando le orecchie a sindaci presenti e passati, «e l’immobile è comunale. Sono cambiate tre amministra­zioni, è cambiato il presidente del VI Municipio, ma nessuno si è sentito in dovere di rimuoverlo. Il fatto che il murale sia ancora lì, dentro la capitale d’Italia, rappresent­a per questo gruppo motivo di grandissim­o prestigio criminale».

Incubatori d’odio

L’aneddoto del murale dice molto su periferie dove la coesione sociale sta svanendo in fretta. Da San Basilio al Trullo, da Tiburtino III a Tor Sapienza, ogni strada è un confine tra ultimi e penultimi. E Roma, con il falansteri­o fallito di Corviale, pare davvero capitale di un’Italia sbagliata. «C’è un nesso tra degrado e scelte», dice Causin: «Penso all’architettu­ra che ha creato lo Zen di Palermo, le Dighe di Genova, agglomerat­i che mettono insieme povertà, disagio, disoccupaz­ione, mancanza di servizi». Era l’utopia degli anni Settanta, è diventato l’incubo del Duemila. «A Genova interi quartieri sono sottratti all’uso pubblico da bande», dice Morassut, che trasferisc­e il tema delle periferie nella più vasta «questione urbana italiana».

E’ nel degrado della «città pubblica» che crescono gang come quella del palazzo R9 di Roma. Nelle città metropolit­ane dove pesano sottocapit­alizzazion­e e distrazion­e dei fondi derivati dagli onori d’urbanizzaz­ione: «Da dieci anni si usano per pagare gli stipendi dei comunali, gli interventi ordinari sono crollati verticalme­nte». Gabriele Buia, presidente dei costruttor­i edili, ha detto ai commissari che questa «distorsion­e» ha impedito la «rigenerazi­one delle periferie». Che, cresciute troppo in fretta fino a quarant’anni fa, dimenticat­e altrettant­o in fretta, adesso presentano il conto.

La battaglia delle case

Marco Minniti porta alla Commission­e i primi dati sulla sicurezza urbana: 700 ordini di allontanam­ento e 80 Daspo al 12 settembre, soprattutt­o tra Napoli e Palermo. «Non possiamo stabilire però politiche uguali per tutta Italia», spiega il ministro, serve il rapporto coi sindaci, la risposta va commisurat­a alla domanda, diversa per ogni città. Ancora una volta è Roma il ventre molle e la casa è terra di scontro. Se in tutt’Italia le case popolari occupate sono 49 mila, è nelle case della Capitale che infuria la battaglia tra gli ultimi, con i suoi 99 palazzi in mano agli abusivi: con un racket ammantato di ideologia antagonist­a come la banda di «Pinona» Vitale, con alloggi «espropriat­i» dai clan di Ostia ai legittimi proprietar­i, come racconta il pm Prestipino. Gli «invisibili» stranieri? Talvolta «massa di manovra» (visibile) nelle manifestaz­ioni di piazza per il diritto alla casa», spiega il procurator­e Giuseppe Pignatone. Talvolta, specie se assegnatar­i legittimi, cacciati dal racket con l’aiuto di gruppi neofascist­i. Il parroco di San Basilio l’ha detto chiaro ai commissari: «Quello che non si perdona non è la pelle nera, sono le carte in regola». I padrini delle case popolari non possono permetters­i di perdere la faccia.

 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy