LA SPAGNA SCOPRE LE ALLEANZE
Il presidente Puigdemont: «Tornano i detenuti politici»
Nella crisi catalana, sempre in bilico tra la farsa e la tragedia, c’è un elemento sinora trascurato, ma che ci riguarda. Popolari e socialisti, gli eredi delle famiglie politiche contrapposte dalla guerra civile, stanno collaborando.
I separatisti e la sinistra antisistema contavano sul Psoe per far cadere Rajoy. Il governo di destra si regge infatti sull’astensione del partito socialista; un po’ come gli esecutivi democristiani negli anni di piombo stavano in piedi grazie alla «non sfiducia» del Pci. In Spagna Pedro Sánchez aveva vinto le primarie su una linea contraria alla grande coalizione con il partito popolare. Oggi un suo pollice verso in Parlamento sarebbe fatale a Rajoy; e porterebbe o a un’improbabile coalizione «pueblo unido» tra le sinistre e gli indipendentisti, o a nuove elezioni.
Sánchez fa tutto il contrario. Appoggia la linea dura del premier, con qualche timido distinguo sulle violenze della Guardia Civil. Non evoca i fantasmi della dittatura. Va alla Moncloa a conferire con Rajoy. È contrario non solo alla secessione, ma anche a un referendum in cui i catalani possano decidere. In cambio ha ottenuto solo un impegno un po’ fumoso su una commissione che dovrebbe gettare le basi per riscrivere la Costituzione in chiave federalista.
Intendiamoci: la sua scelta non è mossa da una convinta adesione alle larghe intese in versione iberica. Sánchez sa che la causa catalana è profondamente impopolare nel resto della Spagna.
In carcere per sedizione i leader dei due movimenti indipendentisti radicali che hanno mobilitato nelle ultime settimane centinaia di migliaia di catalani a favore della secessione dalla Spagna, ma soprattutto contro le forze dell’ordine. La giudice dell’Audiencia Nacional di Madrid, Carmen Lamela, ha accolto ieri sera la richiesta della Procura di arrestare, senza possibilità di libertà su cauzione, Jordi Sánchez e Jordi Cuixart cui fanno capo, rispettivamente, l’Assemblea Nazionale Catalana, Anc, e Omnium Cultural. «La Spagna incarcera i leader della società civile della Catalogna per avere organizzato manifestazioni pacifiche. Purtroppo ci sono di nuovo prigionieri politici»: ha subito replicato il presidente catalano Carles Puigdemont.
A Barcellona la notizia ha fatto risuonare alle 21.30 le casseruole in diversi quartieri, preludio di possibili proteste di piazza contro la decisione del giudice che ha ritenuto fondate le argomentazioni dell’accusa: Sánchez e Cuixart sono ritenuti i registi della rivolta contro gli agenti della Guardia civil e della polizia nazionale, dopo le perquisizioni effettuate il 20 settembre in una cinquantina di sedi della Generalitat e l’arresto di 14 funzionari. Una folla inferocita per il sequestro delle urne e di dieci milioni di schede elettorali già predisposte per il referendum sull’indipendenza del primo ottobre, aveva assediato il ministero dell’Economia catalano ed erano stati i Mossos d’Esquadra a liberare i colleghi delle forze dell’ordine nazionali dopo una notte di caos.
Anche il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna era stato bersaglio di proteste degli indipendentisti più radicali, esasperati dalla sentenza con cui il tribunale costituzionale aveva bocciato la legge del parlamento catalano che aveva convocato il referendum ed era scattata una multa giornaliera di 12 mila euro per i membri della commissione elettorale per convincerli, come poi è avvenuto, a rinunciare all’incarico. Chiamati a difendersi ieri mattina davanti al giudice istruttore, Sánchez e Cuixart si sono rifiutati di rispondere alle domande del pubblico ministero. L’ordine di carcerazione non deve averli colti di sorpresa, perché Sánchez aveva nominato un vice presidente, Agustì Alcoberro, poco prima di partire per Madrid, e perché entrambi avevano già registrato video di tenore patriottico per chiedere ai loro seguaci «unità, civismo e fiducia in noi stessi» nella mobilitazione permanente «che ci dovrà portare alla proclamazione della repubblica indipendente»: «Intendono intimorirci e castigarci — avverte Sánchez —. Ma non potranno piegarci se ci manteniamo forti. E io lo sono. So che questa decisione può indignare molta gente e indigna anche me». Cortei sono stati convocati oggi davanti alle sedi del governo centrale in Catalogna.
Sembra rompersi così la tregua armata che si era instaurata in attesa di una risposta definitiva del presidente della Generalitat, Carles Puigdemont, all’ultimatum del governo centrale: dichiari chiaramente di non aver proclamato l’indipendenza, il 10 ottobre, o sarà lui stesso «l’unico responsabile dell’applicazione dell’articolo 155», aveva avvertito ieri mattina da Madrid la vice presidente Soraya Saenz de Santamaria, riferendosi all’articolo della Costituzione che consente di intervenire per ricondurre alla legalità una comunità autonoma ribelle. Il capo del governo catalano aveva infatti inviato Insieme Jordi Cuixart (a sinistra), leader di Omnium Cultural, e Jordi Sánchez, dell’Assemblea Nazionale Catalana, arrivano all’Alta Corte di Madrid (Barbancho/ Reuters) una lunga lettera al premier Rajoy, evitando chiarimenti sulla dichiarazione con cui aveva annunciato e sospeso l’indipendenza, e chiedendo invece l’avvio di un dialogo nei prossimi due mesi. Ieri pomeriggio la tensione sembrava essersi alleggerita dopo la sentenza con cui la stessa giudice aveva respinto la richiesta della Procura di arrestare per sedizione anche il capo dei Mossos d’Esquadra, Josep Lluís Trapero.
Polizia locale Respinta invece la richiesta di arrestare il capo dei Mossos catalani Trapero