Corriere della Sera

I costi della clausola Iva

- Di Mario Sensini

Una clausola di garanzia sulla tenuta dei conti pubblici costata ai contribuen­ti italiani almeno 70 miliardi di euro negli ultimi sei anni. Una cifra enorme, che vale da sola due o tre leggi di Bilancio: somme “una tantum” usate per rinviare il problema, ma senza mai risolverlo. Anche stavolta, perché con la nuova legge di Bilancio gli aumenti Iva previsti a legislazio­ne vigente da almeno sei anni vengono di nuovo sterilizza­ti, ma solo per il 2018. E si ripresente­ranno, più pesanti, già nel 2019. Per congelare l’Iva nel ‘18 si spenderann­o 15,7 miliardi, altri 8 ne sono stati stanziati a marzo dalla manovrina, mentre il blocco degli aumenti che dovevano scattare quest’anno è costato 19,2 miliardi. Altri 13 ne ha spesi il governo Renzi per evitare lo scatto delle aliquote nel 2015, e altrettant­i li stanziò il governo Monti, nel 2011 quando sostituì proprio con gli aumenti Iva i tagli di spesa immaginati da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, che volevano recuperare 20 miliardi l’anno dalla riforma fiscale o dal taglio delle detrazioni, ma ritenuti poco credibili dalla Ue.

L’inseguimen­to dell’Iva è cominciato allora, è stato costosissi­mo, ma non ci ha avvicinati all’obiettivo. Nel ‘19 l’aliquota Iva ordinaria passerà dal 22 al 25%, quella ridotta dal 10 all’11,5%. Per un maggior gettito di 18,8 miliardi, già iscritto nel bilancio a legislazio­ne vigente del ‘19 e degli anni successivi. A meno di un altro rinvio.

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