LE TRE DESTRE DIVERGENTI MA COSTRETTE ALL’UNITÀ
Mettere in fila i contrasti tra i partiti del centrodestra porterebbe a dedurne che una loro alleanza è impossibile; o comunque che durerà poco. Eppure, come si è visto in Sicilia, la capacità di superare le divergenze in nome dell’unità appare maggiore della voglia di esaltarle fino alla rottura. La strategia somiglia molto a quella del marciare divisi per colpire uniti: sebbene su leadership, sistema elettorale, relazioni con l’Unione Europea, perfino sul concetto di Italia, le posizioni rimangano distanti. Tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia i motivi di polemica sono vistosi. Ad avvicinarli è un elettorato contiguo.
I tre partiti intuiscono che le divisioni avrebbero come risultato di ingrossare le file dell’astensionismo o, peggio, i consensi del Movimento 5 Stelle. Il voto trasversale ai seguaci di Beppe Grillo dà voce a una protesta che si trova dovunque; ma che esprime soprattutto il disorientamento di un centrodestra in crisi di leadership e di identità; orfano del primato berlusconiano e poco convinto della sua sostituzione con quello leghista. La designazione di Luigi Di Maio a candidato premier dei Cinque Stelle è una scommessa su quel fronte del sistema.
Materializza una sfida che si giocherà a destra, come in gran parte dell’Europa; e nella quale l’ex Popolo della libertà dovrà cercare di superare i limiti degli ultimi anni. Non sarà un percorso indolore. I sondaggi accreditano alle tre forze insieme oltre un terzo dei voti. Ma la campagna elettorale è destinata ad accentuare la competizione per decidere, dopo le Politiche, chi potrà rivendicare il ruolo di stratega in quest’area. Finora, le alleanze si sono rivelate fluide. Sulla riforma elettorale, i due tronconi di FI e Carroccio sono d’accordo.
Non sulle prospettive, però. Berlusconi è sospettato di preparare un accordo col Pd, mentre il leghista Matteo Salvini già si vede a Palazzo Chigi a marzo del 2018. Il partito FdI, invece, si è opposto decisamente al cosiddetto Rosatellum. «È una legge pessima», l’ha bollata Giorgia Meloni. «Ci consegnerà un governo Renzi-Berlusconi». Lo spauracchio è quello: lo evocano, da sinistra, gli avversari di Renzi; e da destra quelli di Berlusconi.
Eppure, le percentuali attribuite dai sondaggi alle due forze politiche parlano di prospettive molto più incerte. E convergenze e divergenze si incrociano. Così, in Sicilia FdI e Lega hanno imposto a FI il loro candidato. Ma sui referendum consultivi di domenica in Lombardia e Veneto, Salvini e Meloni litigano furiosamente: la leader di FdI a difesa dell’unità nazionale, Salvini più ambiguo. Con i berlusconiani che li sostengono tiepidamente. Quanto ai referenti europei, FI guarda al Ppe, la Lega all’ultradestra in ascesa dalla Germania all’Austria. Un bel rompicapo. Ma saranno gli elettori a dire se queste contraddizioni si dovranno acuire, o azzerare.
Una sfida tutta giocata in quest’area come dicono i risultati delle elezioni europee e gli attacchi del Movimento 5 Stelle