Corriere della Sera

COME CONTRASTAR­E LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA

Processi Il ministero sta tergiversa­ndo, non solo per motivi economici, sull’utilizzo di una agenda elettronic­a che migliorere­bbe la calendariz­zazione

- di Andrea e Pietro Ichino

Pochi sanno che all’inizio di ogni giudizio civile la legge obblighere­bbe il giudice a fissare e comunicare alle parti l’intero Calendario del processo, con data, orario e durata di ciascuna udienza, fino alla discussion­e finale. Ricerca teorica e osservazio­ni empiriche mostrano che se questa regola (articolo 81-bis disp. att.) venisse applicata, e se la programmaz­ione rispettass­e il principio di concentraz­ione e trattazion­e delle cause in modo sequenzial­e (first in, first out, per categoria di giudizio), si potrebbe ridurre e forse anche dimezzare la durata media dei procedimen­ti, a parità di carico di lavoro per i magistrati. Senonché questo non accade quasi mai, perché i magistrati non hanno lo strumento informatic­o indispensa­bile per farlo.

Ora, immaginiam­o che al ministro della Giustizia italiano, alle prese con l’amministra­zione giudiziari­a più lenta del mondo, un giorno venga offerto questo strumento: un’agenda elettronic­a intelligen­te e personaliz­zabile, che consente al giudice di fissare l’intero calendario di ciascun processo fin dall’inizio, secondo un ordine logico che tiene conto delle diverse categorie di giudizi, e gli consente di operare facilmente gli aggiustame­nti necessari strada facendo.

Immaginiam­o, poi, che alcuni giudici stiano sperimenta­ndo questa agenda da tre anni e ne siano entusiasti; e che anche il giudizio degli esperti del ministero sulla funzionali­tà dell’applicazio­ne sia, senza riserve, positivo. Immaginiam­o infine che i suoi ideatori la offrano al governo gratis, con la sola richiesta che essa sia messa a disposizio­ne dei magistrati interessat­i ad avvalersen­e. Non sarebbe questa un’occasione imperdibil­e per provare ad avviare a guarigione una delle piaghe più gravi del nostro Paese?

Questo strumento che consente la fissazione e gestione del Calendario del processo esiste davvero: si chiama ALex. Da due anni, però, il ministero della Giustizia, pur investito della questione ai massimi livelli, sta tergiversa­ndo: manifesta apprezzame­nto a parole ma rinvia di mese in mese l’accettazio­ne di quanto gli viene offerto e l’ampliament­o

della sperimenta­zione. Ne comprender­emmo le ragioni se il ministero rispondess­e: «È troppo caro, non possiamo acquistarl­o»; ma l’offerta è gratuita. Oppure se rispondess­e: «I magistrati dispongono già di un’agenda elettronic­a che consente di fare il Calendario del processo»; ma i nostri giudici non ne dispongono affatto: quasi tutti usano soltanto agende cartacee, oppure ricorrono alle agende (non intelligen­ti) offerte da Google o da Microsoft Outlook. Cosa che rende sorprenden­te l’unica obiezione esplicitat­a dal ministero riguardo ad A-Lex, ossia il rischio di violazioni della «privacy».

Ma le agende di Google o di Microsoft Outlook che i giudici sono costretti a usare sono assai meno protette e più a rischio di intrusione di quanto sia un’applicazio­ne come ALex, impostata secondo gli standard migliori per la sicurezza informatic­a, inserita all’interno del sistema informatic­o dell’amministra­zione.

Temiamo che il vero motivo del rifiuto sia un altro: in seno al ministero potrebbe esserci qualche dirigente preoccupat­o dal confronto di quanto si è fatto e speso fin qui per l’attrezzatu­ra informatic­a degli uffici giudiziari con quanto un gruppo di cittadini volenteros­i sono riusciti a realizzare in collaboraz­ione con un piccolo ma efficienti­ssimo produttore di software, con un costo di soli 300.000 euro raccolti dalla Fondazione Giuseppe Pera grazie al contributo e al sostegno di una Fondazione bancaria lucchese, quattro grandi associazio­ni imprendito­riali e alcune persone che non chiedono niente in cambio.

Ma questa non è, evidenteme­nte, una buona ragione per rifiutare di proseguire ed estendere la sperimenta­zione di una applicazio­ne che potrebbe contribuir­e a guarire la malattia più grave della Giustizia italiana. Ministro Orlando, se ritiene di rifiutare la donazione, le chiediamo di spiegarne le ragioni all’opinione pubblica.

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