LA SFIDA DEL PC IN CLASSE
La lettera con la quale il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg spiega alla figlia appena nata come investirà il 99% del proprio patrimonio in iniziative filantropiche, fissa in realtà i termini della sfida ultima che Silicon Valley si è posta: riuscire a rendere i computer rilevanti nei processi di apprendimento. L’idea di una macchina che impara e che sia in grado di insegnare fa parte della storia della scienza che chiamiamo informatica. Il successo dei primi personal computer è spiegato proprio dall’intuizione di volerli progettare pensando ai bambini. Oggi nelle scuole europee c’è un computer ogni tre studenti; in Italia il 70% delle classi sono collegate alla Rete e il 40% dispongono di una lavagna interattiva. È però la sostituzione di elaboratori stupidi e veloci con vere e proprie intelligenze artificiali a rendere realistica l’intuizione di Zuckerberg.
Le promesse della digitalizzazione non sono state, però, ancora mantenute. Uno studio dell’Oecd del 2015 dimostra che una maggiore presenza di computer a scuola può accompagnarsi ad un peggioramento dei risultati degli studenti nei test di matematica. Sta scomparendo, secondo le organizzazioni internazionali, il divario digitale tra adolescenti provenienti da classi sociali diverse, mentre ci accorgiamo che non basta una macchina per ridurre le diseguaglianze.
I computer a scuola presentano, in realtà, due grosse opportunità e due enormi rischi. Il primo grande vantaggio è quello già teorizzato dallo psicologo Skinner negli anni 60: se faccio somministrare dalle macchine test che tengono conto dei risultati ottenuti negli esami precedenti, i più bravi non perdono tempo ad aspettare i compagni; quelli meno capaci non rischiano di perdere elementi importanti perché costretti a rincorrere; e ciascuno può esercitarsi nelle aree nelle quali maggiormente necessita un supporto. La seconda grossa opportunità è quella che le tecnologie, in teoria, consentono per molti servizi pubblici: se riesco ad incorporare la tecnica del miglior insegnante (o chirurgo) in una macchina, rendo accessibile quella prestazione a tutti quelli che hanno una connessione che costa meno di un’aula (o di un ambulatorio). Abbattendo lo svantaggio che condanna al sottosviluppo l’Africa o una periferia.
I rischi, però, sono altrettanto grandi. Quello di spezzare l’esperienza di una classe in tante esplorazioni individuali: se è vero che si impara imitando, combinando diverse competenze per risolvere un problema, competendo in gruppo o da soli, l’effetto finale dell’apprendimento personalizzato potrebbe essere negativo. Riduco le inefficienze ma anche gli stimoli. E ciò porta ad un altro pericolo: se la classe si frantuma in adolescenze solitarie, se dalle periferie perdono interesse a trasferirsi al centro, è la società nel suo complesso che perde uno dei suoi collanti più efficaci.
La verità è che, però, su questo terreno non sappiamo ancora cosa funziona. Non lo sanno i governi e neppure le multinazionali. In quali materie possiamo già usare intelligenza artificiale? Come cambia la formazione degli stessi insegnanti in un ambiente nel quale le competenze si sviluppano risolvendo insieme problemi nuovi? Come saranno gli spazi fisici della scuola del futuro? Diminuisce o aumenta il ruolo dei genitori in processi educativi che si sono già dilatati oltre l’orario scolastico?
La chiave è incoraggiare la diversità di approcci e un po’ di sana competizione tra terri- tori. Finanziare sperimentazioni radicali su alcune scuole fissando dall’inizio pochi indicatori per misurarne l’esito. Valutare i risultati delle sperimentazioni estraendo informazioni utili anche dai fallimenti. Predisporre meccanismi specifici per l’imitazione di ciò che funziona. Dare un feedback anche a chi sta progettando i robot di ultima generazione.
È un paradosso: governare società liquide con Stati concepiti per garantire la stabilità. In Svezia hanno il Ministero del futuro. Un luogo che incoraggia le istituzioni ad accettare il rischio senza negare la propria natura. È in una palestra come quella dove si allenano a pensare i nostri figli, che molti adulti che dovevano cambiare il mondo troveranno le risposte che servono per dare senso al proprio sogno.