Corriere della Sera

POETA SOLDATO «MANIACO D’ETERNO»

REBORA,

- Massimo Camisasca

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere»

Caro Aldo,

tra poco saranno cent’anni da Caporetto. Un evento che spezzò — fisicament­e, spiritualm­ente e psicologic­amente — centinaia di migliaia di esistenze. Qualche tempo prima, il poeta milanese Clemente Rebora, contrario alla guerra, ma arruolato, era stato sepolto, al fronte, dalla terra e dal rumore, a causa dello scoppio di un grosso obice. Fu l’inizio di un calvario: da un ospedale psichiatri­co a un altro, approdò, tra dicembre 1917 e gennaio ‘18, al «San Lazzaro» di Reggio Emilia, una delle più importanti retrovie di cura dei malati mentali. Sul suo libretto fu scritta la diagnosi: mania dell’eterno. Mai, forse, diagnosi medica e profezia letteraria furono così concordi.

Vescovo di Reggio Emilia

Caro vescovo Massimo,

La figura di Clemente Rebora, poeta-soldato, poi divenuto sacerdote, è oggi quasi del tutto dimenticat­a. È un peccato, perché a lui si devono alcuni tra i versi più alti della Grande Guerra. Parlarne non era facile. Il più grande poeta italiano del Novecento, Eugenio Montale, la combatté, ma scrisse una sola poesia, sia pure stupenda («Le notti chiare erano tutte un’alba/ e portavano volpi alla mia grotta./ Valmorbia, un nome, e ora nella scialba/ memoria, terra dove non annotta»). Ungaretti vi trasse parole immortali. Rebora non fu da meno. La sua storia incrocia quella di migliaia di commiliton­i, che uscirono distrutti dalle trincee. I manicomi si riempirono di «scemi di guerra», come vennero chiamati. A Teramo c’era un fante, Angelo, che passava tutto il giorno a contare: era il fante incaricato di contare i caduti dopo gli assalti, ed era impazzito. Non c’erano le cure, e non c’erano neppure i nomi per definire le loro malattie. Da qui la definizion­e inconsapev­olmente meraviglio­sa: «Maniaco d’eterno». Rebora sapeva combattere, e sapeva scrivere versi come questi: «Tu uomo, di guerra A chi ignora non dire; Non dire la cosa, ove l’uomo E la vita s’intendono ancora. Ma afferra la donna Una notte, dopo un gorgo di baci, Se tornare potrai; Sòffiale che nulla del mondo Redimerà ciò ch’è perso Di noi, i putrefatti di qui; Stringile il cuore a strozzarla: E se t’ama, lo capirai nella vita Più tardi, o giammai».

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