«I nazionalismi che avanzano? La globalizzazione non frena E a Google penserà il mercato»
Rich Lesser, presidente e amministratore delegato del Boston Consulting Group (Bcg), guida dal 2013 una società considerata un nome storico della consulenza strategica aziendale, fondata a Boston, Massachusetts, all’inizio degli anni Sessanta.
Sotto la guida di Lesser il Bcg ha raggiunto il massimo storico del fatturato, toccando nel 2016 i 5,6 miliardi di dollari, con 85 uffici distribuiti in 48 paesi e un totale di oltre 14mila dipendenti. «Quella di Milano, con una magnifica vista sul Duomo, è forse la più bella di tutte le sedi di Bcg nel mondo», esordisce Lesser.
Possiamo affermare che la globalizzazione è un fenomeno in declino?
«Sono tanti gli elementi che fanno pensare a un arretramento della globalizzazione, dalla crescita dei nazionalismi, alla nuova ondata di protezionismo, fino al malessere sociale provocato dall’aumento delle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza. Tuttavia anche se il mondo tende a diventare più frammentato politicamente e socialmente, la domanda da parte della clientela delle aziende, i servizi, i processi produttivi in tutti i settori continuano ad integrarsi sotto il profilo della
digitalizzazione».. È dunque il digitale il motore dello sviluppo?
«L’adozione delle nuove tecnologie è un fattore critico in
tutti i settori, anche quelli che apparentemente sembrano più lontani da questa trasformazione. Il comparto dell’acciaio, tanto per fare un esempio, dovrà trovare il modo di introdurre le tecnologie digitali all’interno della propria catena del valore». Industria 4.0 è la risposta?
«Industria 4.0 ha l’effetto di aumentare del 30% la produttività riducendo i costi del lavoro; l’introduzione di sistemi digitali avanzati nell’industria manifatturiera altera completamente la scala dei processi produttivi, rendendo conveniente la manifattura all’interno di impianti più piccoli, più flessibili e più vicini ai consumatori finali di quanto non sia la concentrazione della produzione in impianti di grandi dimensioni in paesi a basso costo del lavoro».
Le piccole e medie imprese, che formano l’ossatura produttiva di paesi come l’Italia, ne saranno favorite?
«Un tempo le piccole imprese erano tagliate fuori dai grandi investimenti, ad esempio in ricerca e sviluppo e innovazione. La rivoluzione digitale sta cambiando completamente gli scenari perché andiamo verso un’economia in cui gli “attivi aziendali”, vale a dire gli impianti fissi, hanno
minore importanza, pesano di meno. La gestione dei processi aziendali diventa più economica, software gestionali poco costosi riescono a colmare il gap rispetto alle risorse dei grandi gruppi». Quali sono dunque i pericoli per le imprese?
«In generale tutte le imprese devono fare i conti un cambiamento rapidissimo dell’ambiente circostante perché i processi di trasformazione dei mercati sono diventati molto più veloci di un tempo e nessuna azienda può sentirsi al riparo dall’ingresso nel proprio settore di nuovi attori “non tradizionali».
C’è un rischio monopolio per società come Google o Amazon ?
«Ancora pochi anni fa società come Microsoft o Wal Mart erano considerate invincibili e il governo veniva invitato
La caduta delle barriere Nessuna azienda è al riparo dall’ingresso di nuovi concorrenti nel settore in cui opera
a prendere iniziative che favorissero la concorrenza. Poi la situazione è cambiata. Personalmente non credo che i governi dovrebbero intervenire e sarebbe meglio lasciare a queste imprese il tempo per maturare nuovi valori collettivi. I governi dovrebbero stabilire le regole generali entro cui si svolge la competizione, ma poi devono essere le aziende che si adattano per ottimizzare il proprio successo di lungo periodo e generare nuovi benefici per i consumatori».