LUTERO AIUTÒ IL PAPATO
La crisi della cristianità aperta cinque secoli fa viene ricostruita in un saggio di Mark Greengrass (Laterza). I duri conflitti religiosi che lacerarono l’Europa fino alla guerra dei Trent’anni riportarono la fede in auge come nell’antichità LA CHIESA D
Acinquecento anni dalla pubblicazione delle 95 tesi di Wittenberg contro le indulgenze papali, Adriano Prosperi ha ricordato, nella premessa al suo Lutero. Gli anni della fede e della libertà (Mondadori), la diffusissima convinzione dell’epoca che da quell’evento «cominciasse la nuova storia del mondo», un’idea che prese a circolare già allora, ispirando la prima grande opera storica sull’argomento, i Commentarii de statu religionis et reipublicae, scritti da Johann Sleidan a metà Cinquecento. Prosperi ricorda altresì che la «religione laica dei centenari» ebbe la propria origine un secolo dopo proprio con la «celebrazione luterana» del 1617, «indetta nella Germania dell’incipiente guerra dei Trent’anni». Ed è perciò naturale che, trascorso mezzo millennio dall’inizio della Riforma di Lutero, ci si interroghi sulla portata e sul senso che quell’evento, nonché il secolo e mezzo che ne seguì, ebbero sull’Europa. E qualcuno lo fa puntando i riflettori sulla parte per così dire conclusiva delle guerre di religione.
La guerra dei Trent’anni (1618-1648) fu per il nostro continente un’esperienza particolarmente traumatica. Addirittura sconvolgente, simile forse a quella percepita, tre secoli dopo, ai tempi della Prima e della Seconda guerra mondiale. Nel 1635, Hans Conrad Lang, un commerciante di stoffe di Costanza, raccontò come, a parer suo, quello a cui gli era dato di assistere fosse qualcosa che non si era mai visto «nella storia». Il 23 gennaio 1643, il predicatore inglese Jeremiah Whitaker dichiarò nel corso di un sermone essere i suoi tempi particolarmente «agitati» e notò come questa agitazione fosse «universale» dal momento che aveva coinvolto il Palatinato, la Boemia, la Germania, la Catalogna, il Portogallo, l’Irlanda oltreché l’Inghilterra. Un anno dopo il diplomatico svedese Johan Salvius osservava: «Sentiamo di rivolte del popolo contro i sovrani ovunque nel mondo». E si chiedeva se tutto ciò non dovesse essere spiegato «con qualche configurazione generale delle stelle in cielo». Il langravio d’Assia nella sua Storia metereologica scrisse che all’origine di quell’immane conflitto doveva esserci il «clima disordinato» provocato da qualche allineamento di pianeti. L’ecclesiastico gallese James Howell diede, per l’accaduto, una spiegazione in più: «Dio Onnipotente ce l’ha da qualche tempo con tutta l’umanità e si è fatto trascinare dal cattivo umore a travolgere tutta la terra… In questi ultimi anni infatti sono accadute le più strane rivoluzioni e, non solo in Europa ma in tutto il mondo, le cose più orrende successe all’umanità in un così breve arco di tempo, oserei dire dalla caduta di Adamo». E potremmo continuare a lungo con citazioni di personaggi di tutte le età e delle più varie estrazioni sociali che dissero o scrissero qualcosa di analogo in quegli anni. Quello a cui stavano assistendo era un cataclisma di proporzioni planetarie.
Gli storici — nota adesso Mark Greengrass in La cristianità in frantumi. Europa 1517-1648 che Laterza sta per mandare in libreria nell’eccellente traduzione di Michele Sampaolo — sono stati inclini a legare insieme queste ansie nonché le varie rivolte e disordini del periodo finale della guerra dei Trent’anni in una «crisi generale», la prima che veniva largamente percepita come «europea». Probabilmente « i contemporanei avevano ragione a interpretarla come una crisi globale». Quali i motivi? Ci sono certamente «prove per pensare che le turbolenze meteorologiche ebbero un impatto lacerante sulle civiltà insediate nel pianeta verso la metà del XVII secolo». È possibile, prosegue Greengrass, «persino probabile» che questo a sua volta abbia scombussolato «i modelli di commercio mondiale che si stavano profilando, che riguardavano (in particolare) i flussi di metalli preziosi verso l’Europa».
Le varie regioni economiche del mondo globalizzato erano «come stagni di differenti profondità collegati fra loro da canali». E questi canali «facilmente si seccavano o venivano bloccati dalla guerra e altri sconvolgimenti. Sicché Paesi i quali, per i loro mezzi di sussistenza, dipendevano dall’attività economica che si svolgeva fra una regione e l’altra, venivano «lasciati a lamentarsi» dell’impatto distruttivo provocato dal fallimento dei mercati e (in particolare) dalla impossibilità di vendere merci.
Tutte questo provocò un indebolimento della coesione sociale e culturale dell’Europa, crescenti divisioni fra il mondo urbano e quello rurale, una maggiore divergenza economica fra Nord e Sud, «per non parlare del sempre minore consenso intellettuale» alle classi dirigenti. E un’ansia diffusa. Le varie rivolte e sollevazioni della metà del Seicento ebbero alcuni elementi comuni. Si verificarono su scala regionale e nazionale, «il che indica che la natura del localismo d’Europa si era riconfigurata in qualcosa di più ampio, mobilitato da media e forze sociali che erano nuove». Esse furono altresì guidate perlopiù da personaggi conservatori, spinti a mantenere quelle che consideravano come «versioni vernacolari della legge, della tradizione e a volte della religione, contro forze che essi vedevano come aliene (lo Stato), empie o semplicemente poco attendibili». Tutto questo potrebbe indurci a ritenere che la storia di quello che venne dopo sia stato una risoluzione di quella crisi con la transizione a un mondo molto diverso da quello che era venuto prima. «Ma non fu così», afferma Greengrass. L’Europa «non cambiò fondamentalmente». Non ci fu un nuovo ordine internazionale. Eppure, nel secolo che seguì la Riforma protestante, era accaduto qualcosa di fondamentale. Cosa?
Nel primo millennio del cristianesimo occidentale, è la ricostruzione di Greengrass, «la cristianità si era sviluppata senza un’idea elaborata di dove si trovasse il suo centro e quindi dove fossero le sue periferie». Esisteva «una moltitudine di micro-cristianità legate insieme». Poi dopo il 1054, allorché il Papa di Roma e il Patriarca di Costantinopoli si scomunicarono reciprocamente, nella parte centrale del Medioevo e in conseguenza della rottura con l’Oriente, «la cristianità occidentale sviluppò un senso più articolato del centro e della periferia con il pieno emergere di due unità al contempo geografiche e ideologiche: il papato e il Sacro Romano Impero». Le loro rivendicazioni di autorità «furono forgiate, in concorrenza l’una con l’altra, da teologi, giuristi, teorici della politica e intellettuali in un’atmosfera di fiducioso universalismo». Questo ideale «fu favorito dalle trasformazioni eco-