Violenza
nomiche del periodo, con la straordinaria crescita dei mercati e del commercio interregionale e internazionale, e da matrimoni e alleanze diplomatiche dell’aristocrazia». «Cristianità» è il termine con cui «gli uomini dotti del XII e XIII secolo designarono il mondo dei cristiani latini dell’Europa occidentale».
La Chiesa cattolica romana era il «pilastro centrale» della comunità di fede del cristianesimo latino. Le sue élites intellettuali si erano formate intorno a una lingua internazionale (il latino, in contrapposizione con il greco) e con un percorso di studi (incentrato sulla filosofia e la logica di Aristotele) e indirizzo (la scolastica) comuni. Gli inviati papali condividevano con i consiglieri dei principi «uguali concezioni teocratiche e burocratiche circa l’origine del potere e il modo in cui doveva essere esercitato e legittimato». Le Crociate rappresentarono il progetto più ambizioso della cristianità occidentale. All’epoca il battesimo era considerato un «rito di iniziazione universale». Quelli che non erano cristiani battezzati (gli ebrei, i musulmani) «costituivano, nel Medioevo centrale, una presenza significativa ai margini della cristianità occidentale, tollerata proprio perché non erano parte della comunità di fede». Ma quando «i regni cristiani spinsero le frontiere del cristianesimo latino verso il Sud in Spagna e nell’Italia meridionale segnati dalla presenza araba, la loro rilevanza come rappresentanti di forze straniere non appartenenti alla cristianità sembrò aumentare».
La cristianità era, secondo il libro di Greengrass, una «costruzione ipersensibile» che si Disagio Si ribellarono all’Impero e al pontefice le piccole comunità locali, per le quali le aspirazioni universalistiche significavano ben poco
Turbolenze Nel 1644 il diplomatico svedese Johan Salvius osservava: «Sentiamo di rivolte dei popoli contro i loro sovrani ovunque nel mondo» sentiva spesso minacciata. A dire il vero «i suoi nemici più pericolosi non erano i non cristiani». La sua gerarchia di potere era «vulnerabile soprattutto agli attacchi di una diversa e variegata categoria di persone»: coloro che «erano legati a particolari realtà locali, per le quali le aspirazioni universalistiche della cristianità significavano poco o niente».
Sparsi in tutta l’area dell’Europa occidentale, al di là e contro i meccanismi dell’ordine universale del Sacro Romano Impero (esteso in tutta l’Europa centrale, e il cui titolo segnalava la pretesa di essere in continuità con l’Impero romano e di dar vita ad una forma temporale di signoria universale) nonché della Chiesa, c’erano migliaia di villaggi e parrocchie i cui abitanti erano quasi sempre gravati dal peso di obblighi verso i loro signori feudali che li «rendevano servi». Queste comunità erano affiancate da città che avevano tratto grande beneficio dalle trasformazioni economiche del Medioevo centrale. E ciò non faceva che aumentare «i sospetti nei confronti delle ambizioni cosmopolite e la burocrazia dell’ordine internazionale».
Quanto più «il senso di centro e periferia all’interno della cristianità» andò accrescendosi, tanto più a livello locale le persone divennero «insofferenti» a causa del tempo che dovevano perdere per ottenere «i permessi dall’alto». Molti ce l’avevano con le tasse che dovevano pagare per sostenere la Chiesa universale e «non si fidavano granché del tanto strombazzato progetto sovranazionale delle Crociate». A partire Soldati saccheggiatori, un’opera dell’artista fiammingo Sebastiaen Vrancx (15731647). I conflitti aperti con la Riforma protestante crearono in tutta Europa un clima di violenza, alimentato da eserciti dediti al saccheggio. La fase più terribile coincise con la guerra dei Trent’anni (1618-1648)
Ma cosa era la cristianità? Ci sono, risponde Greengrass «molti miti a proposito del Medioevo». La maggior parte di essi ebbe origine tra XVI e inizio XVII secolo, quando per la prima volta cominciò a profilarsi l’idea di un «Evo di mezzo». La cristianità non era fra questi miti. Anzi, al contrario, «essa era una mito creato dal Medioevo riguardo se stesso». L’idea di cristianità «descriveva il progetto (e il connesso apparato intellettuale e istituzionale) che univa il cristianesimo occidentale». Il periodo successivo alla Riforma protestante «conobbe la progressiva e infine totale disintegrazione di quel progetto, e del mito che gli stava dietro». Nel 1650, al termine di questo tragitto, la cristianità si ritrovò «ormai devastata ed estenuata, ridotta in pezzi». L’Europa, «che somiglia sempre di più a ciò che un tempo era stata la cristianità quale allora veniva concepita», non costituì più un progetto, ma «una semplice proiezione geografica, una mappa su cui potevano essere tracciate le sue divisioni, un modo per rappresentare la sua frammentazione politica, economica e sociale». E che cosa significò tutto questo per la Chiesa?
Secondo lo storico tedesco, Heinz Schilling, la Chiesa romana dovrebbe ringraziare Martin Lutero per due ragioni che Adriano Prosperi ha riassunto così: «Perché senza di lui non si sarebbe liberata dalla mondanità del papato rinascimentale, e poi perché fu grazie a lui che, in un mondo in rapido allontanamento dalle dimensioni e dalla cultura del Medioevo, la fede tornò in auge come nei secoli antichi».
Un concetto che si trova già, per le linee essenziali, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli, a parere del quale era stata la «rinnovazione», come ritorno ai fondamenti originari, che aveva mantenuto in vita quella religione che per gli italiani non esisteva nemmeno più per colpa dei «costumi rei» della corte papale. E che Prosperi fa suo concludendo il Lutero con queste parole: «Si può dire che la tesi di Schilling è abbastanza condivisibile: Roma può ringraziare Lutero, anzi lo sta già facendo». A dire il vero, Papa Francesco lo ha già fatto.