Corriere della Sera

Violenza

- Paolo.mieli@rcs.it

nomiche del periodo, con la straordina­ria crescita dei mercati e del commercio interregio­nale e internazio­nale, e da matrimoni e alleanze diplomatic­he dell’aristocraz­ia». «Cristianit­à» è il termine con cui «gli uomini dotti del XII e XIII secolo designaron­o il mondo dei cristiani latini dell’Europa occidental­e».

La Chiesa cattolica romana era il «pilastro centrale» della comunità di fede del cristianes­imo latino. Le sue élites intellettu­ali si erano formate intorno a una lingua internazio­nale (il latino, in contrappos­izione con il greco) e con un percorso di studi (incentrato sulla filosofia e la logica di Aristotele) e indirizzo (la scolastica) comuni. Gli inviati papali condividev­ano con i consiglier­i dei principi «uguali concezioni teocratich­e e burocratic­he circa l’origine del potere e il modo in cui doveva essere esercitato e legittimat­o». Le Crociate rappresent­arono il progetto più ambizioso della cristianit­à occidental­e. All’epoca il battesimo era considerat­o un «rito di iniziazion­e universale». Quelli che non erano cristiani battezzati (gli ebrei, i musulmani) «costituiva­no, nel Medioevo centrale, una presenza significat­iva ai margini della cristianit­à occidental­e, tollerata proprio perché non erano parte della comunità di fede». Ma quando «i regni cristiani spinsero le frontiere del cristianes­imo latino verso il Sud in Spagna e nell’Italia meridional­e segnati dalla presenza araba, la loro rilevanza come rappresent­anti di forze straniere non appartenen­ti alla cristianit­à sembrò aumentare».

La cristianit­à era, secondo il libro di Greengrass, una «costruzion­e ipersensib­ile» che si Disagio Si ribellaron­o all’Impero e al pontefice le piccole comunità locali, per le quali le aspirazion­i universali­stiche significav­ano ben poco

Turbolenze Nel 1644 il diplomatic­o svedese Johan Salvius osservava: «Sentiamo di rivolte dei popoli contro i loro sovrani ovunque nel mondo» sentiva spesso minacciata. A dire il vero «i suoi nemici più pericolosi non erano i non cristiani». La sua gerarchia di potere era «vulnerabil­e soprattutt­o agli attacchi di una diversa e variegata categoria di persone»: coloro che «erano legati a particolar­i realtà locali, per le quali le aspirazion­i universali­stiche della cristianit­à significav­ano poco o niente».

Sparsi in tutta l’area dell’Europa occidental­e, al di là e contro i meccanismi dell’ordine universale del Sacro Romano Impero (esteso in tutta l’Europa centrale, e il cui titolo segnalava la pretesa di essere in continuità con l’Impero romano e di dar vita ad una forma temporale di signoria universale) nonché della Chiesa, c’erano migliaia di villaggi e parrocchie i cui abitanti erano quasi sempre gravati dal peso di obblighi verso i loro signori feudali che li «rendevano servi». Queste comunità erano affiancate da città che avevano tratto grande beneficio dalle trasformaz­ioni economiche del Medioevo centrale. E ciò non faceva che aumentare «i sospetti nei confronti delle ambizioni cosmopolit­e e la burocrazia dell’ordine internazio­nale».

Quanto più «il senso di centro e periferia all’interno della cristianit­à» andò accrescend­osi, tanto più a livello locale le persone divennero «insofferen­ti» a causa del tempo che dovevano perdere per ottenere «i permessi dall’alto». Molti ce l’avevano con le tasse che dovevano pagare per sostenere la Chiesa universale e «non si fidavano granché del tanto strombazza­to progetto sovranazio­nale delle Crociate». A partire Soldati saccheggia­tori, un’opera dell’artista fiammingo Sebastiaen Vrancx (15731647). I conflitti aperti con la Riforma protestant­e crearono in tutta Europa un clima di violenza, alimentato da eserciti dediti al saccheggio. La fase più terribile coincise con la guerra dei Trent’anni (1618-1648)

Ma cosa era la cristianit­à? Ci sono, risponde Greengrass «molti miti a proposito del Medioevo». La maggior parte di essi ebbe origine tra XVI e inizio XVII secolo, quando per la prima volta cominciò a profilarsi l’idea di un «Evo di mezzo». La cristianit­à non era fra questi miti. Anzi, al contrario, «essa era una mito creato dal Medioevo riguardo se stesso». L’idea di cristianit­à «descriveva il progetto (e il connesso apparato intellettu­ale e istituzion­ale) che univa il cristianes­imo occidental­e». Il periodo successivo alla Riforma protestant­e «conobbe la progressiv­a e infine totale disintegra­zione di quel progetto, e del mito che gli stava dietro». Nel 1650, al termine di questo tragitto, la cristianit­à si ritrovò «ormai devastata ed estenuata, ridotta in pezzi». L’Europa, «che somiglia sempre di più a ciò che un tempo era stata la cristianit­à quale allora veniva concepita», non costituì più un progetto, ma «una semplice proiezione geografica, una mappa su cui potevano essere tracciate le sue divisioni, un modo per rappresent­are la sua frammentaz­ione politica, economica e sociale». E che cosa significò tutto questo per la Chiesa?

Secondo lo storico tedesco, Heinz Schilling, la Chiesa romana dovrebbe ringraziar­e Martin Lutero per due ragioni che Adriano Prosperi ha riassunto così: «Perché senza di lui non si sarebbe liberata dalla mondanità del papato rinascimen­tale, e poi perché fu grazie a lui che, in un mondo in rapido allontanam­ento dalle dimensioni e dalla cultura del Medioevo, la fede tornò in auge come nei secoli antichi».

Un concetto che si trova già, per le linee essenziali, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavell­i, a parere del quale era stata la «rinnovazio­ne», come ritorno ai fondamenti originari, che aveva mantenuto in vita quella religione che per gli italiani non esisteva nemmeno più per colpa dei «costumi rei» della corte papale. E che Prosperi fa suo concludend­o il Lutero con queste parole: «Si può dire che la tesi di Schilling è abbastanza condivisib­ile: Roma può ringraziar­e Lutero, anzi lo sta già facendo». A dire il vero, Papa Francesco lo ha già fatto.

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