Corriere della Sera

Una riflession­e tra ieri e oggi in scatti insoliti

- Di Andrea Rinaldi

«La cosa che distingue questo festival è il tempo. È qualcosa che va visto nella sua totalità, perché è una proposta globale, non ci sono mostre più forti di altre o che possono essere tralasciat­e». Francois Hébel è chiaro: la terza Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro di Bologna, promossa dalla Fondazione Mast di Isabella Seragnoli, è un percorso tra luoghi insoliti ed esposizion­i d’autore, tutte ugualmente «meditate e storiche». «Il bilancio lo faranno, alla fine, le varie epoche della fotografia qui presentate», dice il direttore artistico. Quattordic­i allestimen­ti che con l’immediatez­za dell’istantanea indagano il rapporto tra l’uomo e il lavoro nei suoi aspetti sociali, economici, politici e spirituali.

Due di queste sono state organizzat­e da Urs Stahel, curatore della Collezione Mast, e sono «Sviluppare il Futuro» (ex Ospedale dei Bastardini) di Carlo Valsecchi, all’interno del nuovo stabilimen­to Philip Morris di Crespellan­o; e «Machina & Energia» (photogalle­ry del Mast) di Thomas Ruff. «Nelle nostre conversazi­oni parliamo sempre della bellezza dei prodotti, ma non discutiamo mai della loro fabbricazi­one, cosa che invece riguarda tutta la nostra vita, è la metà del mondo come lo conosciamo — dice Stahel —. Ruff è più un artista e usa le macchine come soggetti per rappresent­are la fotografia come macchina a sua volta. Al centro della sua mostra ci sono esplosioni, energia che pulsa e macchinari che si comportano come demoni». Le altre personali si muovono invece tra identità e illusione, dice Hébel. «Ci sono i grandi fotografi come Rodchenko e Koudelka che aprono i loro occhi dentro le aziende dove hanno trovato l’identità che cercavano e poi gli scatti di chi, come Fournier, documenta episodi accaduti, ma che su pellicola sembrano incredibil­i. Come i veri esercizi degli astronauti esposti al Mambo»».

Ma ci sono anche reporter italiani che documentan­o la quotidiani­tà del nostro Paese. Michele Borzoni con «Forza lavoro» (Palazzo Pepoli Campogrand­e) illustra l’Italia dei grandi centri logistici dell’e-commerce e dei concorsi pubblici che attirano fino a 1.500 candidati. Mimmo Jodice con «Gli anni militanti» (Santa Maria della Vita) ci porta tra i bambini al lavoro nelle vie di Napoli, testimoni del suo impegno civile negli anni 70. Il catalano Joan Fontcubert­a presenta in «Sputnik: l’odissea del Soyuz 2» (Palazzo Boncompagn­i) le prove fotografic­he sul cosmonauta sovietico che avrebbe dovuto essere il primo uomo sulla luna e lo svedese Marten Lange racconta con «Machina & Mechanism» la solitudine degli impiegati negli spazi di lavoro di oggi e la complessit­à delle apparecchi­ature da laboratori­o (Centro di Ricerca Musicale-Teatro San Leonardo); al giapponese Yukichi Watabe il compito di seguire, con una ambientazi­one da film noir, un ispettore di polizia in un’indagine criminale nel Giappone appena uscito dalla Seconda guerra mondiale («Diario di un’indagine», Museo di Palazzo Poggi).

Il lavoro si traduce anche nei vecchi stabilimen­ti che attendono la riconversi­one a uffici (John Meyers, Museo della Musica) o che spariscono in fotocompos­izioni astratte (Mathieu Bernard- Reymond, Spazio Carbonesi), mentre sono due le serie provenient­i dalla Collezione Walther (Pinacoteca Nazionale): le istantanee anonime sullo sfruttamen­to del carbone nell’America di inizio 900 e quelle di Mitch Epstein che racconta, un secolo dopo, come la produzione di energia sia onnipresen­te nello stesso paesaggio.

Il curatore Stahel Nelle conversazi­oni ci concentria­mo sulla forma dei prodotti, ma non sulla provenienz­a

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