Una riflessione tra ieri e oggi in scatti insoliti
«La cosa che distingue questo festival è il tempo. È qualcosa che va visto nella sua totalità, perché è una proposta globale, non ci sono mostre più forti di altre o che possono essere tralasciate». Francois Hébel è chiaro: la terza Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro di Bologna, promossa dalla Fondazione Mast di Isabella Seragnoli, è un percorso tra luoghi insoliti ed esposizioni d’autore, tutte ugualmente «meditate e storiche». «Il bilancio lo faranno, alla fine, le varie epoche della fotografia qui presentate», dice il direttore artistico. Quattordici allestimenti che con l’immediatezza dell’istantanea indagano il rapporto tra l’uomo e il lavoro nei suoi aspetti sociali, economici, politici e spirituali.
Due di queste sono state organizzate da Urs Stahel, curatore della Collezione Mast, e sono «Sviluppare il Futuro» (ex Ospedale dei Bastardini) di Carlo Valsecchi, all’interno del nuovo stabilimento Philip Morris di Crespellano; e «Machina & Energia» (photogallery del Mast) di Thomas Ruff. «Nelle nostre conversazioni parliamo sempre della bellezza dei prodotti, ma non discutiamo mai della loro fabbricazione, cosa che invece riguarda tutta la nostra vita, è la metà del mondo come lo conosciamo — dice Stahel —. Ruff è più un artista e usa le macchine come soggetti per rappresentare la fotografia come macchina a sua volta. Al centro della sua mostra ci sono esplosioni, energia che pulsa e macchinari che si comportano come demoni». Le altre personali si muovono invece tra identità e illusione, dice Hébel. «Ci sono i grandi fotografi come Rodchenko e Koudelka che aprono i loro occhi dentro le aziende dove hanno trovato l’identità che cercavano e poi gli scatti di chi, come Fournier, documenta episodi accaduti, ma che su pellicola sembrano incredibili. Come i veri esercizi degli astronauti esposti al Mambo»».
Ma ci sono anche reporter italiani che documentano la quotidianità del nostro Paese. Michele Borzoni con «Forza lavoro» (Palazzo Pepoli Campogrande) illustra l’Italia dei grandi centri logistici dell’e-commerce e dei concorsi pubblici che attirano fino a 1.500 candidati. Mimmo Jodice con «Gli anni militanti» (Santa Maria della Vita) ci porta tra i bambini al lavoro nelle vie di Napoli, testimoni del suo impegno civile negli anni 70. Il catalano Joan Fontcuberta presenta in «Sputnik: l’odissea del Soyuz 2» (Palazzo Boncompagni) le prove fotografiche sul cosmonauta sovietico che avrebbe dovuto essere il primo uomo sulla luna e lo svedese Marten Lange racconta con «Machina & Mechanism» la solitudine degli impiegati negli spazi di lavoro di oggi e la complessità delle apparecchiature da laboratorio (Centro di Ricerca Musicale-Teatro San Leonardo); al giapponese Yukichi Watabe il compito di seguire, con una ambientazione da film noir, un ispettore di polizia in un’indagine criminale nel Giappone appena uscito dalla Seconda guerra mondiale («Diario di un’indagine», Museo di Palazzo Poggi).
Il lavoro si traduce anche nei vecchi stabilimenti che attendono la riconversione a uffici (John Meyers, Museo della Musica) o che spariscono in fotocomposizioni astratte (Mathieu Bernard- Reymond, Spazio Carbonesi), mentre sono due le serie provenienti dalla Collezione Walther (Pinacoteca Nazionale): le istantanee anonime sullo sfruttamento del carbone nell’America di inizio 900 e quelle di Mitch Epstein che racconta, un secolo dopo, come la produzione di energia sia onnipresente nello stesso paesaggio.
Il curatore Stahel Nelle conversazioni ci concentriamo sulla forma dei prodotti, ma non sulla provenienza