Il Veneto vota e sceglie l’autonomia
Affluenza oltre il quorum, sfiora il 60%. «Attaccati dagli hacker». Lombardia sopra il 35%
Superato il quorum in Veneto per il referendum sull’autonomia. Il presidente della Regione Zaia parla di «consultazione storica». E denuncia un attacco hacker. Meno brillante il risultato dell’affluenza in Lombardia che supera il 35 per cento. Il governo indica il modello emiliano come base per la trattativa sui poteri da cedere alle Regioni.
Se davvero sarà stata una «giornata storica» lo si capirà solo alla fine dell’iter, quando, dopo la trattativa con il governo, sarà chiaro quante e quali materie di competenza statale passeranno di mano. Ma ieri Lombardia e Veneto hanno superato la prova dei referendum consultivi indetti per ottenere maggiore autonomia.
Nella Regione governata da Luca Zaia, dove era previsto il quorum del 50 per cento, l’ostacolo è stato oltrepassato già alle 19 e alla chiusura dei seggi ha assunto proporzioni rilevanti, intorno al 60 per cento (nonostante un attacco hacker). In Lombardia, dove al contrario non era necessario raggiungere un tetto minimo, l’affluenza alle 19 era al 31,8 per cento. Un dato che lascia pensare ad un superamento del 34 per cento indicato come soddisfacente dal governatore Roberto Maroni (a palazzo Lombardia ci sono stati diversi problemi con il voto elettronico).
In Veneto, dove l’iniziativa referendaria era stata varata dal Consiglio regionale all’unanimità, la provincia che ha fatto registrare il maggior numero di votanti è stata quella di Vicenza (con punte vicino al 70 per cento), seguita da Padova e Treviso. In Lombardia, invece, la palma dei più sensibili al richiamo referendario è toccata ai bergamaschi (il sindaco del capoluogo, il pd Giorgio Gori, aveva invitato a votare Sì), seguiti da lecchesi e bresciani. In fondo alle rispettive classifiche, si trovano Venezia e Milano, come se il tema dell’autonomia faticasse a sfondare nelle città cosmopolite. Il Sì ai quesiti che chiedevano maggiore autonomia ha ottenuto percentuali bulgare, ma è passato quasi in secondo piano perché chi si opponeva (frange di Fratelli d’Italia e del Partito democratico) ha preferito invitare a starsene a casa. La partita si giocava sull’affluenza e lì la risposta è stata inequivocabile come conferma il coro di commenti arrivati da destra a sinistra che lodano la partecipazione popolare.
Al di là della Lega, che si intesta il successo avendo la primogenitura della battaglia, nel coro di politici che si dicono soddisfatti per l’affluenza ci sono Debora Serracchiani (Pd), Renato Brunetta (Forza Italia), Gaetano Quagliariello (Idea), Stefano Parisi (Energie per l’Italia), Giovanni Endrizzi (M5S). L’unica stecca nel coro è quella di Giorgia Meloni. Per la presidente di Fratelli d’Italia «i referendum non sono stati un plebiscito, le riforme si fanno tutti insieme e non a pezzi».
La partita ora si sposta sul piano istituzionale. I referendum erano consultivi, servivano a Maroni e Zaia per avere maggiore forza nella trattativa che la Costituzione prevede con il governo. Nei prossimi giorni i rispettivi consigli regionali daranno mandato ai presidenti di procedere. I tempi sono stretti. Al più tardi tra fine gennaio e metà febbraio il confronto con Roma entrerà nel vivo.