Corriere della Sera

Euro e fragilità Le 4 lezioni di una crisi

Un sistema fragile Dopo quanto è accaduto tra il 2010 e il 2012 è necessario adesso capire che cosa debba essere fatto per rafforzare la nostra Unione e quali possano essere le basi di un negoziato non velleitari­o con i nostri partner europei

- Di Lucrezia Reichlin

La grande crisi globale del 2008 e la crisi del debito europeo del 2010-2012 che ne è figlia, sono state il vero test per la solidità dell’Unione Monetaria e l’adeguatezz­a delle istituzion­i che la sostengono. Un test ma anche un insegnamen­to su cosa debba essere fatto per rafforzare la nostra Unione e quale possa essere la base di un negoziato non velleitari­o con i nostri partner europei. Questo articolo, che segue quello di ieri sull’origine dell’euro e il suo governo economico, analizza gli anni della crisi.

Sono quattro — a mio avviso - le lezioni della crisi. Primo. Per essere credibile, il principio stabilito dal Trattato di Maastricht, del «no bail-out» (nessuno Stato dell’Unione può salvarne un altro) combinato all’impossibil­ità di uscire dall’euro, deve essere accompagna­to dalla possibilit­à di ristruttur­are il debito sovrano in caso di insolvenza.«No bail-out», «no exit» (dall’euro), «no restructur­ing» è stata giustament­e chiamata dall’economista Willem Buiter una trinità impossibil­e. La trinità implica che, di fronte a un caso di insolvenza — pensiamo qui alla Grecia — il solo strumento disponibil­e sia un consolidam­ento di bilancio draconiano che finisce per ammazzare l’economia. Questo sistema, inoltre, non è credibile tanto è vero che, alla fine, il debito greco è stato ristruttur­ato. Il ritardo e il modo caotico con cui questo è stato fatto hanno comportato enormi costi non solo per la Grecia, ma anche per tutti i contribuen­ti europei.

Secondo. Un’Unione Monetaria è vulnerabil­e ad attacchi speculativ­i sul debito sovrano i quali creano crisi di liquidità che si auto-alimentano potendo diventare, se non si hanno strumenti per arrestarli, crisi di insolvenza. Ne ho parlato nella prima puntata. È interessan­te osservare come i mercati siano passati improvvisa­mente dalla situazione degli anni 19992010, in cui valutavano il debito pubblico di tutti gli Stati membri come egualmente rischioso, a un eccessivo pessimismo nei confronti dei Paesi più deboli, negli anni seguenti. Nel primo periodo il rischio Paese era sottovalut­ato perché si credeva ad una garanzia implicita della Banca Centrale Europea. Nel secondo, viene sopravvalu­tato perché nasce il dubbio che non ci sia un’istituzion­e in grado di erogare liquidità in caso di stress di finanziame­nto. L’esempio più tangibile per noi è stato la speculazio­ne contro il debito sovrano italiano del 2011 e 2012.

Terzo. In un’Unione Monetaria, le banche «cross-border» sono essenziali alla diversific­azione del rischio poiché permettono l’ottimizzaz­ione della liquidità in caso in cui i Paesi siano colpiti diversamen­te da una crisi. Ma affinché possano svolgere questa funzione, si ha bisogno di strumenti federali per la loro risoluzion­e e di una assicurazi­one sui depositi anch’essa federale. In assenza di questi strumenti il rischio della banca resta legato a quello del Paese singolo e anche le istituzion­i «cross-border» si rinazional­izzano.

Quarto. Una crisi finanziari­a in una Unione Monetaria, se non accompagna­ta da strumenti che convincano gli investitor­i dell’integrità della moneta unica, crea il cosiddetto rischio di ridenomina­zione, cioè il rischio di un ritorno alle monete nazionali. Quest’ultimo spinge gli investitor­i stranieri a tornare a casa. Il mercato finanziari­o, quindi, si balcanizza. In questa situazione le banche — se in crisi — diventano dipendenti dalla capacità di intervento dei loro governi nazionali e i Paesi che hanno bisogno di rifinanzia­re il loro debito, dalle loro banche nazionali. Questo crea una correlazio­ne tra rischio bancario e rischio sovrano. L’effetto è che le banche dei Paesi a rischio hanno maggiori difficoltà a rifinanzia­rsi e di conseguenz­a impongono tassi più alti alla clientela innestando un meccanismo in cui, invece della condivisio­ne del rischio che avviene naturalmen­te in mercati integrati, il rischio si concentra. A questo punto i vantaggi della moneta comune spariscono e la politica monetaria ha grandi difficoltà ad operare.

Questa ultima lezione non va sottovalut­ata. L’integrazio­ne dei mercati finanziari ha un ruolo fondamenta­le per la condivisio­ne del rischio tra Stati. Un altro strumento per la condivisio­ne del rischio è quello fiscale che opera attraverso una tassa federale progressiv­a. A differenza che negli Usa noi non ce l’abbiamo e il dibattito pubblico si è spesso focalizzat­o sulla necessità di questo strumento. Tuttavia, anche negli Usa il ruolo fondamenta­le per la condivisio­ne del rischio lo svolgono i mercati finanziari e non il fisco ed è per questo che i progetti di riforma in Europa devono prestare molta attenzione a questo aspetto. Un’Unione Monetaria non può funzionare se non si preserva l’integrazio­ne dei mercati finanziari. Le regole fiscali combinate alla balcanizza­zione dei mercati e alla impossibil­ità di usare la leva del cambio, creano, in caso di crisi, una pro-ciclicità della politica economica che ammazza l’economia come ormai riconosce anche il Fondo Monetario Internazio­nale.

Se queste sono le lezioni, domandiamo­ci quindi cosa sia stato fatto dal 2008 ad oggi per risolvere i problemi individuat­i, quali siano le priorità e la relazione tra queste e le varie proposte sul tavolo: quelle francesi, tedesche, della Commission­e europea e dell’Italia.

Lo sforzo di costruzion­e di nuovi strumenti fatto negli scorsi anni per garantire la stabilità dell’euro non va sottovalut­ato. La riforma più significat­iva è stata l’unione bancaria ed in particolar­e la supervisio­ne unica. Altri pezzi importanti sono stati la creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità e l’arricchime­nto degli strumenti di sorveglian­za macroecono­mica.

Purtroppo tutto ciò, ancora una volta, pone l’enfasi sulla prevenzion­e e non sul management delle crisi. Dobbiamo quindi domandarci cosa succedereb­be oggi alla zona euro se fossimo colpiti da una nuova crisi finanziari­a. Anche se un evento del genere non sembra essere prossimo, non possiamo non porci questa domanda perché, la storia insegna, le economie di mercato subiscono crisi periodicam­ente.

Un altro limite del nuovo framework è la sua eccessiva complessit­à. Per quanto riguarda la parte macroecono­mica, le regole sono sempre meno trasparent­i e intrusive e hanno perso credibilit­à. Per la parte finanziari­a, abbiamo oggi una frammentaz­ione eccessiva del processo decisional­e specialmen­te deleterio nel caso di banche a rischio di risoluzion­e.

La sensazione che il sistema così come è sia fragile ce la hanno tutte le parti in gioco. Macron ha infatti fatto della riforma del governo della moneta unica uno dei pilastri della sua campagna elettorale. Lo stesso Schäuble, prima di lasciare il ministero delle finanze tedesco, ha fatto proposte di cambiament­o e Juncker ne ha fatto delle sue anche piuttosto radicali.

Tuttavia c’è una mancanza di chiarezza - o comunque di consenso - su quale sia il problema da risolvere e su cosa sia possibile e legittimo fare.

Nella prossima puntata analizzerò la logica delle varie proposte alla luce dell’analisi qui presentata sulle lezioni della crisi.

(La prima puntata è stata pubblicata il 22 ottobre 2017)

Sono stati costruiti negli scorsi anni nuovi strumenti per garantire la stabilità della moneta unica, ma purtroppo tutto ciò, ancora una volta, pone l’enfasi sulla prevenzion­e e non sulle soluzioni

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