Corriere della Sera

Le città alla battaglia fiscale

- Di Marco Imarisio

Un voto che chiede più autonomia. In quel Veneto capofila del popolo che si sente stretto tra due Regioni a Statuto speciale.

Alle due di notte dello scorso venerdì, con la vista ormai annebbiata, Toni Da Re ha pensato che se ogni bicchiere di prosecco fosse diventato un voto per l’autonomia, allora era davvero fatta. Il presidente del comitato referendar­io si era spinto fino a Tovena, la frazione più remota di Cison del Valmarino, per la festa di San Simone. Doveva tenere un breve discorso all’ora di cena. Cinque ore più tardi, era ancora tra i banchi della sagra. «Mi raccomando il 22 ottobre» gli dicevano. E giù un altro bianchino.

Lo storico sindaco di Vittorio Veneto, autonomist­a della prima ora, titolare di un autolavagg­io, figlio di partigiano, orgoglioso di non aver mai mancato un 25 Aprile, ci ha messo un paio di giorni a riprenders­i. «Quanti ne ho bevuti? Lasciamo stare. E comunque non me lo ricordo...». La voce spezzata non è però una conseguenz­a dello sforzo anche etilico. «Sa, io mi sono iscritto alla Liga veneta nel 1982. Oggi per me si chiude un cerchio, è un momento storico. Ce l’abbiamo fatta».

La bandiera con il leone di San Marco ha ancora il suo fascino nel Veneto profondo, capofila del popolo delle partite Iva, che si sente stretto tra due Regioni a Statuto speciale. «Il resto d’Italia pensava soltanto a una fissazione antica, la Serenissim­a, i Serenissim­i. Noi abbiamo puntato più sull’attualità che sulla storia. Sul malcontent­o del presente». I numeri dicono che nel NordEst la crisi è un brutto ricordo. L’ultimo rapporto della Cgia di Mestre, il centro studi dell’Associazio­ne artigiani e piccole imprese, calcola che la crescita finale del Pil veneto nel 2017 sarà dell’1,4 per cento, lo 0,9% in più del 2015, a queste latitudini ultimo annus horribilis della grande recessione. Nel trimestre conclusivo dell’anno si potrà contare su 123 mila nuovi occupati e 36 mila disoccupat­i in meno. «Può essere» ribatte Da Re. «Ma durante questa campagna la gente non veniva neppure a chiedermi soldi. Fammi lavorare, ti prego, dicevano tutti. Le ferite di quest’ultimo decennio sono ancora ben aperte. E se vogliamo dare i numeri, la pressione fiscale è salita ancora».

Roma rimane infida se non ladrona come da antico slogan, inutile girarci intorno. Giampaolo Gobbo, vicepresid­ente regionale, ex sindaco di Treviso, prototipo del leghista inviso alla gente che crede di piacere ma in possesso di una conoscenza palmare del suo territorio, consacra questo giorno che definisce «abbastanza storico» al ricordo delle presunte angherìe subite dal governo centrale. «Abbiamo fatto una campagna capillare che nessuno ha raccontato, perché nessuno voleva vedere. Nel 2001 ci hanno bocciato la devolution, nel 2010 con Bossi e Berlusconi eravamo quasi arrivati al federalism­o fiscale, poi Fini e Casini si misero di mezzo. I veneti invece hanno buona memoria. Adesso Luca Zaia e Bobo Maroni sono due governator­i che insieme fanno il cinquanta per cento del Pil nazionale: hanno in mano una possibilit­à concreta».

Nel 2014 un editoriale di Le Monde definì la provincia di Vicenza «il fortino delle piccole medie imprese». Manuela Dal Lago, unica presidente veneta nella storia del Parlamento Padano, pensò che purtroppo quell’elogio arrivava fuori tempo massimo. «La nostra fortuna stava già andando a ramengo. Poi è arrivata la crisi della Banca popolare vicentina, che ha fatto macelleria sociale. Poi la fiera è stata venduta e portata a Rimini. Le leggi e la burocrazia che rendono la vita difficile agli imprendito­ri sono rimaste le stesse». Proprio il vicentino ha trascinato l’affluenza, seguito da Padova e Treviso, due provincie dove secondo i dati della Fondazione Think Tank Nord-Est nell’ultimo biennio sono andate perse 895 attività, quasi la metà dell’intero Veneto. «Alla secessione non ci pensa più nessuno. Questo è stato un voto identitari­o ed economico».

E Salvini? All’evocazione del segretario federale corrispond­e un cambio di tono degli interlocut­ori. Il Veneto è la regione con il più alto tasso di epurazioni fattive o indotte del nuovo corso. Da Re si affida alla diplomazia. «Credo che il suo progetto sia di portare le leghe in tutta Italia». Gobbo la prende alla lontana. «Grazie a Zaia e Maroni potrà supportare la nostra battaglia a Roma». Manuela Dal Lago, che dopo un quarto di secolo nel 2016 se ne andò dalla Lega in disaccordo con il nazionalis­mo del nuovo timoniere, ha meno timori reverenzia­li. «Ha vinto Luca Zaia, non Salvini. Ha vinto la Liga, non la Lega». L’ultima telefonata è per Bepi Covre, l’industrial­e federalist­a simbolo del Carroccio degli anni Novanta, forse la più sanguinosa delle espulsioni recenti. «Il massimo dell’autonomia significa anche autodeterm­inazione dei popoli. Proprio come volevano Bossi e Gianfranco Miglio. Chissà se ora Salvini se ne accorge. Il referendum aiuterà l’Italia a capire che i nostri non sono privilegi ma diritti. Adesso la saluto, che vado anch’io a brindare». Prosit.

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