Bassetti: ci sarò anche io Non chiederemo soldi ma di essere coinvolti
«Ho votato sì perché ho passato la mia vita ad essere convinto che il Risorgimento è stato sbagliato e che lo Stato centralista del 1861 è stato un ulteriore sbaglio. Sono un fedele seguace di Cattaneo». Ma proprio da fedele seguace del federalista Cattaneo, Piero Bassetti, primo storico presidente della Regione Lombardia, «federalista responsabile», uomo che ha contribuito alle elezioni di Giuliano Pisapia nel 2011 e sostenitore di Beppe Sala nel 2016, non ha avuto dubbi su quale tasto del tablet spingere ed è stato invitato da Roberto Maroni ad accompagnarlo a Roma per aprire le trattative con il governo: «In queste condizioni — dice Bassetti — il messaggio che gli elettori hanno dato è molto sfidante perché impone un esercizio estremamente responsabile della situazione. Dobbiamo definire bene quello che vogliamo chiedere al governo. Certamente non soldi, bensì più coinvolgimento nel risanare lo Stato italiano, attuando la Costituzione che è una Costituzione regionalista tradita dal centralismo imposto dalla Guerra fredda». All’incontro con il governo chiederebbe una sola cosa: «Che ci si sieda a un tavolo con buona fede e cultura istituzionale per affrontare le evidenti disfunzioni di un centralismo che è ormai alla fine e non funziona, tanto che il divario tra Nord e Sud è aumentato». Nel risultato referendario Bassetti vede anche un’altra possibilità: «Il Mediterraneo per varie ragioni torna a essere un mare centrale. L’Italia deve trovare nel Sud il suo punto di forza nel Mediterraneo e i nordici sono chiamati a fare da cerniera tra Europa e Mediterraneo cosa che impone un cambiamento radicale nel modo di governare. In questo Milano rivendica la sua centralità».
Bassetti si dà anche una spiegazione della diversa affluenza tra Veneto e Lombardia: «Perché il Veneto ha un rapporto con le istituzioni molto diverso dalla Lombardia. Per il Veneto un modello di statualità auspicabile è la Repubblica di San Marco. Per la Lombardia e soprattutto per Milano, no». È una diversa visione dell’autonomia quella che ha diversificato il voto tra le due regioni: «Il vero desiderio milanese e lombardo è un’autonomia di governance, graduata dall’efficienza e non dalla libertà. Al limite, la richiesta del saldo fiscale non è per tenersi i soldi ma per gestirli meglio. Il risultato dell’affluenza del Veneto è sicuramente positivo. Ma il Veneto era chiamato a votare tra due alternative. In Lombardia non c’era questa alternativa, non era o Roma o noi. Il nostro problema non è liberarci da Roma ma essere aiutati a collocarci in Europa».
Il nostro problema non è di liberarci di Roma ma di collocarci in Europa