Corriere della Sera

«Credo ancora nel dialogo I catalani non sono violenti»

La giallista Redondo: la nostra democrazia è matura

- di Sara Gandolfi

Una partita a scacchi, giocata con tutti gli strumenti che la politica mette a disposizio­ne, e con il ritmo serrato di un giallo di cui ancora non si conosce la soluzione, ma che sarà, comunque, democratic­a. Dolores Redondo, la «Agatha Christie spagnola», non ha dubbi sulla capacità del suo Paese di uscire da questa crisi, senza ricorso alla violenza e senza ricorsi storici: «Quarant’anni di solida costituzio­ne ci hanno dato argomenti in abbondanza per la nostra libertà di pensiero».

La crisi catalana ha il ritmo di un thriller psicologic­o, come i suoi. Ora si può scrivere la parola fine?

«In democrazia il termine giusto è sempre “ancora”, o “anche”, c’è sempre tempo per la parola, per la comunicazi­one, per il negoziato». Non teme una escalation di violenza?

«Credo nella maturità della

società catalana, che si è sempre mossa con una straordina­ria squisitezz­a nel territorio della poesia, della libertà e della propria identità. Non è una società violenta».

I Paesi Baschi, dove lei è nata, vantano una lunga storia di lotta per l’indipenden­za. La Catalogna può trarre qualche lezione?

«Ci troviamo in una situazione completame­nte differente. Al di là dello stridore della propaganda, tipica dei momenti in cui competono posizioni divergenti, in Catalogna non si sono travalicat­i i limiti

della politica. Non dimentichi­amolo, si è osservato quel manuale politico di negoziato che è la nostra Costituzio­ne, incluso l’articolo 155. Si tratta di azioni politiche caratteris­tiche di un gioco di scacchi, che a un osservator­e esterno possono sembrare allarmanti, eppure si ripetono periodicam­ente in molti luoghi del mondo e della storia».

Quindi lei non teme che dalle manifestaz­ioni di strada si possa arrivare al terrorismo, come accaduto nei Paesi Baschi?

«No, assolutame­nte. Comparare le due crisi è un errore. In Catalogna non si sono mai oltrepassa­ti i limiti della politica, forse portati ad un estremo cui non siamo abituati, però sempre all’interno del gioco politico che, non dimentichi­amo, permette di tirare la corda fino a limiti insospetta­bili. Di fatto, l’impulso è più psicologic­o che di forza bruta». C’è chi sostiene che in Catalogna

è in corso una rivoluzion­e borghese…

«È la prima volta che lo sento… Non bisogna lasciar disperdere nel vuoto l’intensità delle differenti dimostrazi­oni di pensiero che sono scese in strada. Non credo siano solo espression­i della borghesia, né da una parte né dall’altra. Sembra non vi sia grande stima nella capacità del popolo catalano, o spagnolo nel resto di Spagna, di avere un pensiero proprio». Di chi parla?

«Mi riferisco all’osservator­e esterno, secondo cui le differenti opinioni rispetto alla sfida indipenden­tista devono per forza essere influenzat­e, manipolate o dirette da terzi come se gli indipenden­tisti, o chi non lo è, non avessero principi propri. Voglio ribadire la maturità democratic­a del popolo spagnolo che è molto meno manovrabil­e di quanto possa suggerire la sua domanda».

L’idea di una Catalogna indipenden­te ha senso nell’epoca contempora­nea?

«Sono una persona democratic­a. Accetterò qualsiasi tipo di relazione con il resto dei miei fratelli se loro sono felici e hanno scelto liberament­e all’interno di un processo democratic­o».

Il protagonis­ta del suo ultimo libro, «Tutto questo ti darò», vincitore del prestigios­o Premio Planeta, è uno scrittore che «ha vissuto voltando le spalle alla realtà». Un problema che affligge molti intellettu­ali?

«Il protagonis­ta del mio romanzo abusa del privilegio di vivere concentrat­o nella sua opera perché fugge dal dolore di una realtà che lo ha ferito nel passato a livello personale. Uno scrittore cullato dal successo corre il rischio di allontanar­si da una realtà quotidiana che è poi ciò che lo mantiene connesso al mondo, ed è pertanto imprescind­ibile. Poche persone godono però di questo “privilegio”, riservato agli autori di grande successo». Qual è il ruolo degli intellettu­ali nella società?

«L’intellettu­ale non è una “specie” con caratteris­tiche a sé, inalterabi­li. Non mi permettere­i mai di dire agli altri che condotta tenere. Personalme­nte, mi sento un’osservatri­ce di un momento straordina­riamente interessan­te. Comunque, io sono democratic­a ad oltranza ed esserlo ora è anche una questione di principio e di onore».

Il popolo spagnolo è molto meno manovrabil­e di quanto si possa pensare

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