Macron «in marcia» anche in Europa
Il presidente vorrebbe esportare il suo movimento fuori dalla Francia per creare nel 2019 un gruppo che sia decisivo nel Parlamento Ue
Guy Verhofstadt, presidente del gruppo liberal-democratico al Parlamento europeo ed ex premier belga, ha smesso di cercarlo al telefono. Emmanuel Macron si era negato troppe volte. Dal presidente francese, leader e fondatore del movimento europeista «En Marche!», Verhofstadt cercava una firma di adesione alla sua famiglia politica europea: esattamente ciò su cui per adesso Macron non intende pronunciarsi. Poco importa che l’area liberale — laica, europeista, aperta all’economia sociale di mercato — sembri la collocazione naturale della nuova forza che sei mesi fa ha sovvertito l’ordine politico in Francia. Il trentanovenne inquilino dell’Eliseo per ora non s’impegna con nessuno, perché sta valutando progetti più ampi e probabilmente anche più adatti alle sue ambizioni.
È un paradosso solo apparente che il più europeista dei leader politici di oggi non abbia una collocazione politica al di fuori dei confini nazionali. La sua formazione, «La République en Marche!», ha la maggioranza all’Assemblea nazionale di Parigi ed è troppo nuova per avere propri deputati nell’Europarlamento eletto nel 2014. Ma non ha voluto confondersi con i popolari di Angela Merkel, né con i socialisti e democratici di Matteo Renzi e del tedesco Martin Schulz, né con i liberali. Macron per il momento non vuole unirsi a nessuno, vuole che gli altri si uniscano a lui. Preferirebbe fondare una propria forza politica europea, alla quale altri semmai aderiscano. Il presidente francese capisce che in questo modo può diventare l’ago della bilancia per gli equilibri fra socialisti e popolari nel prossimo Parlamento di Strasburgo e per la nomina del presidente della Commissione Ue tra meno di due anni.
A Parigi non sono ancora state prese decisioni, perché esportare «En Marche!» in Europa non sembra comunque una passeggiata. Per costituire un gruppo politico autonomo nell’Europarlamento servono almeno 25 deputati eletti in sei Paesi diversi. L’esordio per la nuova forza macroniana in teoria potrebbe avvenire in vista delle elezioni europee del giugno 2019, attraverso un elenco di candidature per i 73 seggi di Strasburgo lasciati vacanti dalla Gran Bretagna dopo la sua uscita dall’Unione. Ma neanche questa si presenta come una mossa semplice, perché l’idea di riservare quei 73 posti per liste transnazionali di deputati eletti in tutta Europa — non nei propri Paesi d’origine — sta incontrando ostacoli evidenti fra i governi. Anche a Berlino.
Macron dunque studia anche altre opzioni per la sua proiezione in vista delle Europee e ha più che mai bisogno di tessere alleanze. La sua speranza è che singoli deputati o forze europeiste di altri Paesi decidano a Strasburgo di unirsi agli eletti del suo movimento, anche perché questi ultimi potrebbero essere numerosi. L’offerta dovrebbe essere aperta a tutti: democratici italiani, popolari tedeschi, esponenti di Ciudadanos o persino di Podemos in Spagna e ai liberal-democratici europei in blocco. Non sarebbe dunque Macron ad aderire al gruppo di Verhofstadt, ma il contrario. In parallelo, la costola europea di «En Marche!» dovrebbe costruire una relazione sempre più stretta con una decina fra centri studi, movimenti europeisti, piattaforme digitali di dialogo, forze di protesta. Fra i possibili alleati figurano associazioni come «Civico Europa», l’organizzazione non governativa con sponsor italiani «Making Europe Again», ma anche la forza politica transnazionale di Yanis Varoufakis DiEM25.
I consiglieri politici del leader francese lavorano a questi scenari dall’estate. I consiglieri diplomatici invece tendono a frenare il loro presidente: temono le ripercussioni nei rapporti fra lui e gli altri partiti e capi di governo nell’Unione Europea. Tentare alle elezioni per il Parlamento di Strasburgo nel 2019 la stessa operazione che ha scosso la politica francese a primavera scorsa per Macron significa infatti, potenzialmente, mettersi in concorrenza a casa loro con ciascuno dei suoi simili: Renzi in Italia, Merkel e Schulz in Germania, Mariano Rajoy in Spagna potrebbero vivere l’ambizione di Macron come un’interferenza indebita e una sfida entro i propri confini.
Il presidente francese è cosciente di questo rischio e dello scetticismo che circonda la sua operazione, quindi nei prossimi mesi cercherà di rassicurare. Il mese prossimo, secondo alcune indiscrezioni, dovrebbe incontrare Matteo Renzi all’Eliseo e altri colloqui sarebbero previsti con il leader della spagnola Ciudadanos Albert Rivera. Anche con l’ex premier Enrico Letta sono avvenute consultazioni.
Di certo, se la lista macroniana decollerà, avrà bisogno di mettere a punto un dettaglio in più: un candidato alla presidenza della Commissione Ue, lo Spitzenkandidat («candidato di punta») che ormai tutte le famiglie politiche indicano prima delle Europee. Quel nome oggi non c’è. L’intenzione di cercarlo sì.
I timori I consiglieri diplomatici temono però per le ripercussioni nei rapporti con gli altri leader