Pietro l’Eremita e quella sete che sa di eroismo
Nella Gerusalemme liberata, la sete che assale i crociati davanti alle mura è un tormento estremo e invincibile. Anche Davide aveva sofferto la sete davanti alla città, che si confermava come la fonte davidica ed era appunto la fonte che ai crociati sembrava negata. Gerusalemme è fonte di vita. Francesco Hayez aveva letto più volte il suo Torquato Tasso e avrebbe dato almeno due versioni della storia di Pietro l’Eremita e della prima crociata. Una più rivoluzionaria, l’altra più ufficiale, una un sommovimento di strada, l’altra un proclama. In entrambe le letture la prima crociata restava per lui una storia di popolo e da poco Tommaso Grossi, con il poema nazionale I Lombardi alla prima crociata, aveva dato identità a quel «buon popolo di Cristo» descritto dal Tasso. Quel popolo era lombardo. Nel 1837 Hayez si cimentò nell’abbozzo (in mostra, ndr) di una composizione ispirata alla sete dei crociati. I colori della sabbia rovente, due palme e le mura lontane rendevano la sete evidente come in altri dipinti sarebbe stata una tempesta. Il pensiero ricorreva a modelli eroici per le figure e non stupisce che uno dei crociati ricordi il cartone di Michelangelo per la Battaglia di Cascina, né sorprendono altri ricordi poetici (il vecchio che si tormenta le mani come il conte Ugolino). In questo abbozzo Pietro l’Eremita è frammisto alla folla. Nel grande quadro dipinto per Carlo Alberto dal 1849 al 1850 Pietro l’Eremita guiderà invece il suo popolo dall’alto della roccia su cui si levavano le palme. Il suo ruolo di capopopolo è come gerarchizzato. È fin troppo facile attribuire questi cambiamenti alla presenza di un committente regale, ai turbamenti degli Italiani desiderosi di un principe guida. Certo l’impeto iniziale, l’ambizioso programma di dare visibilità alla sete si sono perduti.