La battaglia dei sessi e il passato che torna La King rivince la guerra dei mondi
Uomini contro donne: un film rilancia la sfida
Dal Sessantotto sono passati quasi dieci lustri, dalla battaglia dei sessi 44 anni eppure periodicamente c’è un male chauvinist pig (copyright Bobby Riggs, tennista sottovalutato, personaggio straordinario) che si sente in dovere di ricordarci che le donne sono inferiori agli uomini.
Nei giorni roventi del caso Harvey Weinstein, l’uscita di «The battle of the sexes» dimostra che qualche scambio da fondocampo della guerra dei mondi — maschi vs. femmine — possiamo vincerlo anche noi. Astrodome di Houston, 20 settembre 1973: Billie Jean King batte Bobby Riggs 6-4, 6-3, 6-3. E non importa che sotto gli occhiali da miope di Billie Jean si nasconda una 29enne plurivincitrice seriale di Slam, non conta che Bobby sia un 55enne con la pancetta, con un grande passato alle spalle e un presente fatto di drink, scommesse (va dall’analista per smettere e lo convince a cominciare a giocare a carte) e improbabili match sui tetti dei grattacieli vestito da pastorella o con i cani al guinzaglio. Quel che conta è il periodo storico in cui la partita avviene, l’alba del movimento sindacale delle tenniste che chiede pari trattamento salariale, a costo di staccarsi dal circuito maschile (gestito da Jack Kramer) per fondarne uno proprio. Se l’americana Sloane Stephens lo scorso settembre ha incassato la stessa cifra di Rafa Nadal sbancando l’Open Usa — 3.700.000 dollari —, se Serena Williams (nonostante la gravidanza) è prima nella classifica dei guadagni 2017 con 27 milioni di dollari e Maria Sharapova continua a fatturare 30 milioni di dollari a stagione alla faccia del meldonio, il merito è (anche) della piccola destrorsa (ma con rovescio a una mano) di Long Beach, nata Moffit e passata agli annali con il cognome di un marito biondo e amorevole, così evoluto da rimanerle vicino anche quando Billie lo lascerà per una donna.
Il tennis, nel film, è affidato a controfigure capaci di riprodurre con le racchette di legno i gesti bianchi degli anni Settanta, una velocità della palla che oggi sembra rallenty, schemi basati più sulla geometria che sull’atletismo che caratterizza il tennis muscolare del nuovo millennio. Steve Carell pesca, tra le sue mille maschere, un Bobby Riggs cialtronesco al punto giusto, che sa farsi voler bene. Emma Attori Emma Stone (Billie Jean King) e Steve Carell (Bobby Riggs) nella «Battaglia dei sessi» Stone è una King somigliante, sensibile, convincente: dell’originale ha assunto la postura in campo, dalla camminata ingobbita alla posizione in cui aspetta il servizio dell’avversario, riesce a non essere mai caricaturale, rendendo piena giustizia alla donna che ha cambiato per sempre il tennis femminile. Lui faceva scommesse, lei faceva la storia.
Raffaella Reggi, la pioniera della generazione di italiane culminata nei titoli Slam di Francesca Schiavone (Roland Garros 2010) e Flavia Pennetta (Us Open 2015), da capitana di Federation Cup ha sfidato Billie Jean in panchina. Italia-Usa, Ancona 1999: «La ricordo intelligente, brillante, piena di carisma. Ne avvertivi la presenza anche quando sedeva senza dire niente. Mi avvicinai con rispetto e timidezza: sentivo di essere accanto a un pezzo della nostra storia. Perdemmo l’incontro, però Silvia Farina si tolse la soddisfazione di battere Monica Seles». Ma oggi Raffi, nonostante McEnroe che sottolinea che Serena sarebbe solo numero 700 della classifica maschile (paragone nonsense, caro vecchio John), con la questione dei premi uguali che riaffiora come lava dalla bocca di un vulcano in ebollizione, una battaglia dei sessi avrebbe ancora senso? «No. Rischierebbe di essere solo intrattenimento, un circo senza significato. Cosa c’è da dimostrare ancora a livello femminile? Francamente non ne vedrei il senso».
È dal «Giardino dei Finzi Contini» (firmato De Sica) che l’affascinante narrativa del tennis, con la solitudine dei suoi numeri primi, si presta al linguaggio del cinema. Presto rivivrà la rivalità tra Borg e McEnroe però il messaggio di Billie Jean resta attuale. E, quel che più conta, immortale.
La pioniera Raffi Reggi: «A Billie Jean dobbiamo tutte qualcosa ma oggi non avrebbe più senso»