Città e provincia: il voto è differente
Viaggio tra l’elettorato metropolitano, cosmopolita, e quello delle campagne, localista.
Il passaggio Le élite della metropoli cosmopolita sono chiamate a dare una risposta al voto
L’analisi del voto è sempre un esercizio utile, stavolta forse ancora di più. Spulciando infatti nei dati di affluenza al referendum di domenica l’elemento che emerge con maggiore nettezza è quello che riporta al fattore «città-campagna», come tradizionalmente vengono classificate le differenze tra le grandi/medie città e la provincia profonda. Parliamo della divaricazione tra due segmenti dell’elettorato, quello metropolitano e di conseguenza cosmopolita e quello delle valli pervicacemente localista. Per arrivare a questa conclusione basta partire dal dato (26,4%) dell’affluenza di Milano, città-hub oggi impegnatissima a far concorrenza alle altri grandi città terziarie dell’Europa e di conseguenza disattenta e critica nei confronti di una consultazione elettorale giudicata inutile e autarchica. Tra Milano e la provincia di Bergamo (47,4%) ci sono più di 20 punti percentuali che diventano addirittura 36 se il confronto passa tra la città di Ambrogio e la provincia di Vicenza (62,7%). I dati non fanno altro che fotografare l’esistenza di una larga polarizzazione, pur dentro un territorio come il Nord che visto dall’estero o solo dal nostro Meridione appare omogeneo. La verità è che non lo è, accanto infatti a fattori subculturali comuni (un orientamento più favorevole all’impresa e al mercato e meno ben disposto verso lo Stato) se ne trovano altri che generano divaricazioni come quella di domenica. Distanze che si spiegano solo in parte con gli effetti della Grande Crisi.
L’Economist di questa settimana ha dedicato la copertina alle zone (noi diremmo territori) che sono rimaste «ferite» dalla globalizzazione. Il titolo è «Left behind», lasciate indietro. Un’espressione che potrebbe diventare familiare come i forgotten men che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca. Le trasposizioni non sono mai facili ed è comunque arduo trovare nel Nordest e in Lombardia territori devastati dalla crisi come secondo il settimanale inglese sono Greenville nel South Carolina e Scranton in Pennsylvania. Abbiamo conosciuto fenomeni di penalizzazione come l’uscita dal mercato di moltissime Pmi venete o lombarde che prima facevano i prodotti a basso valore aggiunto oggi made in China, qualche distretto ha chiuso baracca e burattini e centinaia di capannoni vuoti co-
steggiano le grandi arterie stradali ma la percentuale dei votanti è stata altissima anche nelle terre del Prosecco, esempio di successo imprenditoriale maturato negli ultimi 10 anni.
Una traccia di risentimento la ritroviamo con maggiore certezza nel voto vicentino, quell’affluenza al 52% anche nel capoluogo riflette gli umori dei risparmiatori traditi dalla loro Banca Popolare e che hanno trovato nell’urna di domenica il modo di schierarsi contro l’establishment romano. Il localismo dei veneti non risponde però a un univoco sentimento di sconfitta, marca di più un’identità popolare diversa dal cosmopolitismo liberal e dalle design/fashion week milanesi. Una presa di distanza abilmente pilotata da Luca Zaia e dal suo leghismo a trazione democristiana, attento agli interessi minuti dei piccoli proprietari del vino e del turismo e avverso per Dna al capitalismo cosmopolita, che — non dimentichiamo — nel Nordest vanta due colossi come Luxottica e la galassia Benetton. Ed è sintomatico l’appoggio dato al referendum da quasi tutte le organizzazioni di rappresentanza del ceto medio produttivo.
Il voto dunque ci consegna, oltre al rischio di una profonda divaricazione tra economia e politica, due Nord: uno che vuole l’Ema, prepara l’Human Technopole, sogna per le multinazionali tascabili ulteriori traguardi e l’altro che punta le sue carte sul contenzioso fiscale con Roma e nello statuto speciale. Un secondo Nord attento ai luoghi e non ai flussi, per usare una vecchia espressione di Giacomo Becattini più volte riproposta da Aldo Bonomi. E allora la palla torna giocoforza alle élite del primo Nord che sbaglierebbero a snobbare l’esito del referendum e sono chiamate invece a dare anch’esse una risposta al voto di domenica. Nella durissima competizione che avviene anche all’interno dell’Europa comunitaria la massa critica conta eccome e Milano senza il retroterra della Regione A4 è sicuramente più debole.