La strategia degli ex dem: far saltare il numero legale Il soccorso dei verdiniani
Barani: non vogliamo che la legislatura muoia
ROMA Tra la buvette e il salone Garibaldi, dove il grido «vergogna!» che si alza da piazza Navona arriva solo con i lanci di agenzia, gli azzurri sono già in festa e pregustano il brivido del ritorno al governo. Più felici ancora, se possibile, sono i senatori di Verdini. Eccone uno, con lo sguardo fisso allo schermo che rimanda l’Aula in tempo reale: «C’è la fiducia, evvai! La legge di Denis è salva».
A sera, quando la delegazione di Mdp scende dal Colle più alto dopo aver ufficializzato al presidente Mattarella l’uscita dalla maggioranza, i verdiniani si scatenano. Lucio Barani, professione chirurgo, attinge al vocabolario ginecologico per dire che sì, con il via libera alle cinque fiducie atteso per oggi il gruppo Ala diventerebbe il «salvavita» del governo: «Abbiamo fatto il dna al figlio e abbiamo visto che lo abbiamo concepito noi». Fuor di metafora, senatore Barani? «Il Rosatellum è la stessa legge che abbiamo depositato noi sei mesi fa». Verdini è entrato in maggioranza? «Diciamo che manterremo il figlio passandogli l’assegno mensile — ride soddisfatto Barani —. Non vogliamo che muoia, fino alla scadenza naturale».
Il «soccorso verdino» potrebbe imbarazzare non poco il governo e il Pd, nel caso in cui i senatori di Ala diventassero determinanti. D’Alema, Bersani e Speranza faranno di tutto per far risaltare il passaggio di testimone agli ex berlusconiani. «Con il voto sul Rosatellum si appaleserà la nuova maggioranza», dà valore alla mossa politica di Mdp la capogruppo Cecilia Guerra. E il vice Federico Fornaro rivela la strategia: «Se decidiamo di non partecipare al voto, come i 5 stelle, la legge finisce in una zona ad altissimo rischio».
E qui entra in gioco Paolo Romani, impegnato a spandere ottimismo tra gli azzurri. Per l’ex ministro di Berlusconi è «la legge da sempre sognata», tanto che i fedelissimi l’hanno ribattezzata «Romanellum». Pur di vederla approvata, il presidente dei senatori azzurri vive ormai in filo diretto con il suo omologo del Pd Luigi Zanda. «Questa legge realizza tutte le nostre aspirazioni — si prepara al brindisi Romani —. C’è l’impianto proporzionale e c’è la coalizione, ci sono sia i collegi che i listini corti... Se prendiamo la Sicilia, arriviamo a Palazzo Chigi». Perché lei e Zanda siete inseparabili? «Ci sentiamo molte volte al giorno, anche la domenica». Un lavoro di sponda per disinnescare l’unica vera mina piazzata sotto la legge, il numero legale. «Ci sarà fisiologicamente», fa scongiuri Romani. Ma poiché il blitz è nell’aria il capogruppo ha già allertato i suoi: «Se la legge rischia, alcuni di voi entreranno in Aula e voteranno contro la fiducia».
E mentre sugli smartphone dei dem rimbalza via sms il monito del segretario d’aula Francesco Russo («Annullati tutti i congedi e tutte le missioni»), Maurizio Gasparri inforca gli occhiali e fa di conto: «Il Pd ha 98 senatori e se anche i dissidenti dem fossero otto, Renzi ne avrebbe 90. Ap ne conta 24, dal Misto i sì sono 12 e siamo a 124. Una quindicina le Autonomie, 14 i verdiniani e bastano due o tre del Gal...». I nomi, senatore. «Naccarato farà la rivoluzione? No, ecco che il problema non sussiste — ride il vicepresidente del Senato —. Se pure il numero legale fosse a 151, ci saremmo ampiamente». E dopo, larghe intese con Renzi? Gasparri si toglie gli occhiali e ne spara una delle sue: «La cosa più difficile sarebbe convincere il Pd».
La contromossa di FI Se ci saranno troppe assenze alcuni di FI entreranno in Aula e voteranno contro
Questa legge realizza le nostre aspirazioni Con Zanda ci sentiamo molte volte al giorno Paolo Romani