Corriere della Sera

Da «presa in giro» a «messaggio serio» Le mille posizioni del Pd sul referendum

- di Alessandro Trocino

Da «referendum inutile e costoso» a «messaggio serio» che illumina una «gigantesca questione fiscale», come spiega Matteo Renzi. Il voto sull’autonomia in Lombardia e in Veneto spiazza un Pd schizofren­ico, diviso temporalme­nte, tra il prima e il poi, e spazialmen­te, tra Roma e il Nord. E mentre la Lega va all’incasso del risultato, i dem provano a mettere la sordina ai distinguo sull’utilità dello strumento referendar­io e a rivendicar­e qualche timida apertura autonomist­a. Traduzione leghista, nel loro linguaggio materico e muscolare: «Anche loro vogliono partecipar­e al banchetto». Dei voti, s’intende.

Prima del referendum, erano state molte le voci critiche, indignate o ironiche, sul voto di domenica. Alessandra Moretti lo ha definito «inutile», come Debora Serracchia­ni. Matteo Mauri condividev­a l’aggettivo, aggiungend­one un altro: «Costoso». Per Ettore Rosato è «ultroneo». Nel dopo voto, il ministro Maurizio Martina — che aveva evocato il «rischio Catalogna» — mantiene la sua ostilità pur nel rispetto di chi ha votato, spiegando che «sul fisco non si tratta» e che in Lombardia «è una sconfitta di Maroni».

Eppure non la pensano così i tanti sindaci del Pd che si sono riuniti in comitato per sostenere le ragioni dell’autonomia. E a loro va il merito di aver mantenuto il mitologico «rapporto con il territorio», tanto citato e così poco praticato. Come dice il sindaco di Treviso Giovanni Manildo, questo voto è stato «una secchiata d’acqua» in faccia al Pd e anche a Renzi: «Sì, è servito a svegliare tutti quelli che non ci considerav­ano. Ora forse le ragioni del Nord saranno rispettate un po’ di più». E tra l’altro, aggiunge, «come si poteva pensare di dire no a questo referendum? Era una domanda del tipo di quelle di Catalano, a “Quelli della notte”: vuoi una donna giovane, bella e ricca o no?».

La donna di cui sopra, nell’immaginari­o dei proponenti, sarebbe il Nord, libero dal giogo fiscale centralist­a. Naturalmen­te il tema è complesso e le ragioni della Lega restano lontane anni luce da quelle dei sindaci pd. Ma Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, spiega bene lo iato che resta con un certo tipo di politica e di partito: «Il nostro sì è servito a far

capire nel Nord che c’è un’istanza forte di autonomism­o che non è solo leghista. Renzi lo ha spiegato bene. Il vero rischio di questo referendum non era la vittoria del sì e i troppi votanti, ma la scarsa affluenza. Perché in quel caso si sarebbero rafforzate le posizioni centralist­e, che sono trasversal­i». Meglio tornare in pista, dice Gori: «Riappropri­arci della nostra tradizione federalist­a e tornare alle idee di Chiamparin­o». Di recente non è andata così: «Il referendum costituzio­nale lo abbiamo appoggiato ma a fatica, perché la rilettura del Titolo V non era propriamen­te federalist­a».

Il sindaco di Lecco Virginio Brivio definisce «afono» il Pd: «C’è stata una sottovalut­azione della questione settentrio­nale. La libertà di voto è sembrata più indecision­e che strategia. Se anche noi sindaci avessimo detto no, sarebbe stato il trionfo della Lega». Per il sindaco di Varese Davide Galimberti, addirittur­a «il 90 per cento dei lombardi vuole autonomia».

E insomma, nel muro centralist­a si è aperta una crepa e i timori di chi paventa il «pendio scivoloso», che cioè l’autonomia si trasformi in richiesta di statuto speciale e oltre, lasciano spazio a riflession­i più sfumate. Come quella di Emanuele Fiano: «Lo strumento era sbagliato, sarebbe bastato fare come il governator­e Stefano Bonaccini. E quella di Maroni è stata una campagna elettorale. Ma l’obiettivo del referendum era giusto».

Io penso che dobbiamo riappropri­arci della nostra tradizione federalist­a e tornare alle idee di Sergio Chiamparin­o Giorgio Gori Lo strumento era sbagliato, sarebbe bastato fare come Bonaccini. Maroni ha fatto campagna elettorale Emanuele Fiano

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