Corriere della Sera

«Io cyberspia del Russiagate? Attaccano me per colpire Putin»

La versione di Kaspersky, l’uomo degli antivirus nel mirino Usa

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«Cosa farei se Vladimir Putin mi chiedesse di aiutare i servizi segreti russi? Gli direi di no. Se una società di sicurezza informatic­a facesse diversamen­te sarebbe morta». «Il Russiagate? È solo politica americana. La mia società è stata attaccata per attaccare la Russia. Ma è vero che per garantire la sicurezza online ci vorranno ancora 50-100 anni. Non mi piace ma stiamo andando verso un mondo con sempre meno libertà in cambio della sicurezza». Eugene Kaspersky, il fondatore e amministra­tore delegato dei software antivirus russi che lo scorso settembre l’Agenzia federale per la sicurezza nazionale americana (Dhs) ha messo al bando, si difende dall’accusa di spiare gli americani per conto del Cremlino parlando al Corriere.

L’accusa è che attraverso delle backdoor nel software Kaspersky Lab, delle «porte segrete», il governo russo possa avere avuto accesso a documenti segreti anche della National Security Agency Usa (Nsa). Kaspersky è ora nell’occhio del ciclone di una guerra tra servizi segreti che coinvolge anche l’amministra­zione di Donald Trump e il suo «amico» Vladimir Putin. Le agenzie governativ­e americane hanno 90 giorni per rimuoverli dai propri computer. Lo stesso Kaspersky ha fatto sapere di essere pronto a testimonia­re negli Usa. È un caso sul quale non è facile capire chi è dalla parte del giusto. Se mai c’è.

Ha mai spiato per conto di un governo?

«Non ci è mai stato chiesto da alcuna agenzia di intelligen­ce di supportare un’attività di cyber-spionaggio segreta. Se dovessimo ricevere tale richiesta da qualsiasi governo prenderemm­o tutte le misure necessarie, inclusa quella di spostare l’azienda in un altro Paese».

Ma se fosse Putin in persona a chiederlo?

«La mia risposta sarebbe la stessa a qualsiasi richiesta di cyber-spionaggio di qualsiasi governo: un no definitivo. È una questione di principio oltre che di protezione dell’azienda. Se avessimo mai fatto le cose di cui siamo stati accusati falsamente, il nostro business sarebbe morto».

Qual è allora la sua versione dei fatti?

«La prima è che siamo stati presi di mira a causa delle relazioni geopolitic­he tra Mosca e Washington. Dal momento che gli Usa avevano la necessità di attaccare qualsiasi cosa che fosse russa, i media hanno pensato a noi. La seconda versione è che questo attacco a Kaspersky Lab sia il risultato di alcune intromissi­oni dietro le quinte di competitor aggressivi e spietati. La terza versione invece è che l’intera storia riguarda la politica interna degli Stati Uniti e siamo solo un danno collateral­e».

Siamo in una Guerra Fredda con armi cyber?

«Mi auguro sinceramen­te che questa faida tra Russia e Usa non sarà grave quanto una nuova Guerra Fredda. Il mondo è troppo interconne­sso. Sono un ottimista e spero che presto le cose inizierann­o a migliorare. Sfortunata­mente non so quanto presto».

Gli esperti di sicurezza come lei dicono che l’unico modo di essere sicuri è restare completame­nte disconness­i. Saremo mai sicuri?

«Sì, credo che un giorno sarà possibile essere al sicuro anche online, ma non so quando accadrà: forse tra 50100 anni».

Qual è la sua opinione in generale: andiamo verso un mondo con più libertà o più sicurezza?

«È sempre stato e sempre sarà un compromess­o. Tuttavia la mia impression­e è che l’umanità si stia avviando verso un mondo in cui le persone avranno sempre meno privacy e, in un certo senso, meno libertà. Con la crescente sorveglian­za e i big data, sempre più informazio­ni su di noi saranno a disposizio­ne degli altri. Non mi piace l’idea, ma è un trend tecnologic­o e non credo che sia possibile invertirlo».

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