Sì o no al «coprifuoco» sulle notifiche, i giudici si rivolgono alla Consulta
Finisce alla Corte costituzionale la diatriba, propria ormai di ogni professione, sulle mail di lavoro ma trasmesse fuori dai comuni orari di lavoro: e ci finisce per le notifiche giudiziarie civili telematiche, alle quali nel 2012 il legislatore estese il regime di quelle cartacee, che gli ufficiali giudiziari non potevano consegnare tra le ore 21 e le ore 7. Come insomma quando c’era la carta si era voluto tutelare il domicilio del notificato e il suo diritto al riposo, allo stesso modo nel 2012 si era voluto garantire al potenziale destinatario della Pec una fascia oraria giornaliera in cui non fosse tenuto a verificare il contenuto della propria casella mail. Ma ci sono due grosse differenze, argomentano ora i giudici Santosuosso-Mantovani-Catalano della I sezione civile della Corte d’Appello di Milano. Intanto, l’indirizzo mail «è privo di un collegamento spaziale con l’intestatario» che sia suscettibile del medesimo tipo di lesioni al domicilio fisico di una persona. E poi la Pec può essere inviata giorno e notte, a prescindere dagli orari degli uffici giudiziari o postali, sicché l’equiparazione tra due situazioni diverse «può generare effetti irragionevoli»: l’estensione della norma sottrae 3 ore di tempo per il ricorso (ledendo quindi il diritto di difesa) a chi notifichi nell’ultimo giorno utile, e nel contempo «non impedisce comunque» che la notifica «entri nella sfera di conoscenza del destinatario, penetrando nel suo domicilio digitale anche dopo le ore 21 e malgrado la volontà contraria». Nel caos di sentenze contrastanti in mezza Italia, una soluzione sarebbe scindere gli effetti soggettivi della notifica, riconoscendo al notificante l’intero tempo (quindi anche tra le 21 e le 24), e però al notificato l’automatico prodursi degli effetti dopo le 7. Consentirebbe «un bilanciamento tra l’interesse del notificato (a non essere disturbato in determinati momenti della giornata) con l’interesse del notificante a esercitare appieno il proprio diritto di difesa sfruttando per intero il termine» del ricorso, la cui improcedibilità o meno nel caso in esame valeva ad esempio ben 6 milioni di euro. Ma farlo «eccede i limiti del potere» dei giudici, che paventano così di abrogare di fatto una norma. E ritengono invece corretto e inevitabile inviare la questione alla Consulta.