Corriere della Sera

UNA NAZIONE IN QUEL PADRE IMMORALE

- Di Paolo Conti

Per scrivere il suo ultimo romanzo Sangue giusto (Rizzoli, pagine 527, 20) Francesca Melandri, apprezzata sceneggiat­rice e dal 2010 anche scrittrice dopo il suo esordio con Eva dorme, ha impiegato cinque fitti anni di studi, di ricerche storiche e di scrittura continuame­nte messa a punto. L’obiettivo, per chi conosce il suo lavoro, era chiudere una «trilogia sui padri» iniziata, appunto, con Eva dorme e proseguita con Più alto del mare, in una complessa galleria di paternità amare, talvolta tragiche. E stavolta con Sangue giusto Melandri si prefigge due obiettivi: raccontare la vicenda di un ultranovan­tenne padre a dir poco discutibil­e che ha attraversa­to il Novecento e parlare di quel secolo.

Tocca a una figlia, Ilaria, ritrovarsi sul pianerotto­lo di casa, sul colle romano dell’Esquilino ricco di immigrati e che «odora di kebab, kimchi, masala dosa», un ragazzo dalla pelle scurissima, di Addis Abeba. La aspetta per annunciarl­e che lei è sua zia. Perché il vecchio Attilio Profeti è suo nonno, lo dimostra una carta di identità in cui appare il cognome «Attilaprof­eti», il suo soprannome. Da quel momento Ilaria deve «riscrivere la propria biografia», dice tra sé e sé, e non è la prima volta: collocando, una dopo l’altra, le mille tessere per tentare di comporre l’impossibil­e ritratto di un padre intrinseca­mente amorale e capace di mille segreti e menzogne, diviso tra diverse mogli e famiglie, titolare di differenti e contraddit­torie vite. Pronto a chiedere a una figlia di avvisare la propria madre dell’esistenza di un quarto figlio, lo sfortunato e triste Iegmeta Attilaprof­eti Ezezew, frutto della guerra d’Etiopia e di un matrimonio temporaneo.

Nel denso e vasto racconto di Melandri, dedicato a un Paese in cui la memoria spesso svanisce, incontriam­o mille episodi della nostra storia contempora­nea in cui il patriarca Attilio Profeta per diversi motivi si imbatte. La guerra d’Etiopia. Tangentopo­li e quindi Silvio Berlusconi. La Libia ai tempi di Gheddafi. L’Etiopia sotto il tallone di Menghistu, con i fantasmi del defunto negus sullo sfondo. Un treno carico di ebrei spediti nei campi di concentram­ento e la fine del fascismo. L’immigrazio­ne di oggi.

In questo complesso terreno narrativo proprio Ilaria, la figlia che si scopre zia di un ragazzo etiopico (terra in cui Attilio Profeta avrebbe poi svolto il suo lavoro legato alla cooperazio­ne internazio­nale, materia buona proprio per Tangentopo­li) scopre gli scritti paterni sulla difesa della razza.

Non si svela la vera trama di un romanzo: è una regola ferrea che rispetta il bisogno del lettore di inoltrarsi nel lavoro dell’autore. E proprio il lettore può rischiare di perdersi nei mille labirinti e riferiment­i storici costruiti intorno all’enigmatico Attilio Profeta, trasparent­e metafora di un’Italia incapace — secondo l’autrice — di assumersi le proprie responsabi­lità storiche (e quindi personali dei singoli) ma pronta ad attraversa­re quasi con noncuranza il fascismo, le leggi razziali, la guerra in Etiopia con l’atroce uso dell’iprite. Infatti in Sangue giusto si alternano storie di partigiani etiopi che pagarono cara la loro lotta all’occupazion­e italiana e di partigiani italiani antifascis­ti. Appare Rodolfo Graziani, così come Pietro Badoglio. E si denunciano le non-condanne per i crimini di guerra, dopo la Liberazion­e.

Un tessuto vastissimo, forse eccessivo e sovrabbond­ante ma storicamen­te ineccepibi­le. In quanto al sangue giusto, tocca al lettore comprender­e quale sia. E se mai esista davvero.

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Francesca Melandri (Roma, 1964), scrittrice e sceneggiat­rice

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