Neri alla tavola dei bianchi
Il primo volume della trilogia «March» (Mondadori Ink) sul razzismo negli Usa
Sembra un po’ matto quel bambino afroamericano — così mite, pio e studioso — che predica ai polli e battezza i pulcini nella piccola fattoria della sua famiglia in Alabama.
D’altronde ci voleva davvero una certa vena di follia per opporsi alla segregazione razziale, tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, nel profondo Sud degli Stati Uniti, dove lo spirito di rivalsa per la sconfitta dei confederati nella guerra di Secessione e la successiva occupazione militare nordista si era rovesciato con inaudita violenza sugli ex schiavi, ora formalmente «liberi», ma privati di gran parte dei diritti civili da una infame legislazione razziale.
Lo splendido volume March. Libro uno (traduzione di Giovanni Zucca, Mondadori Ink, pagine 121, 17) è la parte iniziale di una pluripremiata trilogia autobiografica a fumetti scritta da John Lewis — nato nel 1940, deputato tuttora in carica al Congresso di Washington e protagonista delle lotte non violente per l’emancipazione dei neri — insieme ad Andrew Aydin, con i disegni strepitosi e commoventi di Nate Powell.
Tutto comincia sul ponte Edmund Pettus (siamo sempre in Alabama), teatro del brutale pestaggio di Lewis e altri attivisti da parte della polizia il 7 marzo 1965, durante la famosa marcia da Selma a Montgomery organizzata dal movimento per i diritti civili guidato dal reverendo Martin Luther King.
Poi si torna indietro agli anni dell’infanzia e della giovinezza di John, in un Sud razzista dove anche chiedere di essere servito alla tavola calda di un grande magazzino era per un afroamericano un atto di notevole coraggio, che poteva costare assai caro.