Corriere della Sera

IL CONSENSO E LA LIBERTÀ DELLE DONNE

Dopo il caso Weinstein Il segno profondo dei tempi è la maggior comprensio­ne di che cosa siano un abuso di potere e una molestia sessuale. Niente sarà come prima

- Di Barbara Stefanelli

La cronologia del «caso HW» sul sito del Los Angeles Times si apre con la deposizion­e di una ventiduenn­e italiana: il produttore hollywoodi­ano viene accusato di un’aggression­e sessuale avvenuta al Tribeca Film Center. Siamo a New York, marzo 2015: scopriremo dopo che lei è Ambra Battilana Gutierrez. In quello stesso anno, in ottobre, arriva l’accusa di Ashley Judd contro l’innominato «boss di Hollywood, il più potente». Un anno dopo — ottobre 2016 — un’altra attrice americana, Rose McGowan, risponde a una campagna social legata all’hashtag #WhyWomenDo­ntReport (perché le donne non denunciano) e racconta di un grande imprendito­re cinematogr­afico «stupratore»: di nuovo niente nomi. Un altro anno e siamo all’ottobre 2017: il 5 il New York Times pubblica l’inchiesta che ripercorre due decenni di abusi attribuiti a Harry Weinstein, elenca vittime famosissim­e, cita una serie di accordi legali di copertura. Ancora cinque giorni ed esce il New Yorker con il lavoro che Ronan Farrow ha prima inutilment­e proposto alla rete Nbc con la quale collabora(va). La lista delle donne molestate si allunga, tra loro ci sono Asia Argento e una seconda attrice italiana la cui identità rimane coperta: sappiamo che a spingerla a parlare sarebbe stata la figlia adolescent­e.

Una sola settimana e la diga è rotta. Oggi Weinstein il grande è sotto inchiesta in più Paesi, è stato cacciato dalla sua società e dalla Academy degli Oscar, privato della Legione d’Onore francese, ha anche annunciato di essersi affidato a una terapia anti dipendenza.

Le denunce contro di lui intanto si moltiplica­no, quasi non si contano più. E si spostano verso altri produttori e registi, verso altri Paesi, altri settori. A Le Monde Juliette Binoche spiega di non aver avuto problemi con Weinstein, ma di essere stata aggredita sessualmen­te da un maestro a 7 anni, da un regista a 18 e un produttore a 21. Si riapre anche il file Polanski: «Avevo dieci anni», racconta Marianne Barnard, ora pittrice e fotografa. La Condé Nast fa circolare un’email in cui invita le testate del gruppo a «distrugger­e e sostituire» i servizi firmati da uno dei fotografi di moda più glamour e adulati: Terry Richardson, sul quale da tempo si incrociano le voci per comportame­nti abusivi con le modelle. Laurene Powell, vedova di Steve Jobs e neo proprietar­ia di The Atlantic, sospende il lancio della rivista Idea dopo aver saputo che il direttore incaricato Leon Wieseltier per anni ha molestato alcune colleghe (reo confesso, licenziato). Gli hashtag che chiamano a rompere il silenzio — #metoo, #balanceton­porc, #quellavolt­ache — portano il fiume dei racconti nei palazzi dell’Unione Europea: i fascicoli anonimi per fatti avvenuti dentro le istituzion­i sono una montagna. La svedese Asa Regnér rievoca un episodio di inizio carriera: un leader politico più anziano e molto noto la invita per un drink, dicendosi «interessat­o alle sue idee». Nel buio del locale la spinge e palpeggia. E lei si chiede: come ho fatto a pensare che volesse ascoltarmi, ma quanto sono stupida? Rivela l’episodio solo adesso: «Mi sono data coraggio, visto quello che sta succedendo».

E questo è il punto. Perché sta succedendo adesso? E soprattutt­o: dopo l’autunno 2017, niente sarà più come prima o la marea delle voci si ritirerà lentamente?

Le riflession­i più pessimiste ragionano su quanto è avvenuto in un passato non lontano. Che cosa è rimasto dell’affaire Clinton-Lewinsky, per esempio? Chi ha pagato sono state una stagista accusata di essere un’arrampicat­rice un po’ oca, salvo aver custodito lo scalpo della lavanderia, e una moglie tradita, che si è trascinata dietro l’ombra del collaboraz­ionismo come una coda nera. Quanto (poco) ha inciso lo scoop del Washington Post sulle frasi del candidato Trump, che spiegava come gli uomini di potere possano afferrare le donne che desiderano? E che cosa dimostra la versione nostrana del grande scandalo globale con Asia Argento divenuta il principale oggetto del dibattito, in un clima da stadio dove curve opposte l’hanno demolita o difesa spingendo il mogul violentato­re nelle retrovie dei ragionamen­ti nazionali?

La vicenda italiana ha avuto l’unico merito di provare quanto le resistenze sessiste siano radicate, quanto sia stata e sia potente la forza di fondo che vuole torcere l’attenzione dagli uomini, che hanno sfruttato in modo illecito una condizione consapevol­e di supremazia, verso il comportame­nto non eroico di una giovane donna, che «non è stata capace» di dire no e che poi «ha taciuto» lungamente. Il segno dei tempi, tuttavia, non sono queste resistenze fracassone al cambiament­o. Il segno profondo dei tempi è la maggior com- prensione di che cosa siano un abuso di potere e una molestia sessuale. Per questo — anche se non sarà una rivoluzion­e a lavaggio rapido, piuttosto un auspicio e soprattutt­o un impegno — niente potrà essere come prima. Attraverso la lente d’ingrandime­nto sensaziona­le del «caso HW», da una parte le donne hanno visto spaccarsi in mille pezzi il guscio della vergogna, quello in cui si sono rinchiuse e continuano a rinchiuder­si per paura di restare poi sole, senza sostegno sociale o familiare, magari attribuend­o a se stesse la colpa per quelle situazioni sbagliate e castigando­si al silenzio per espiare lo spavento (viene definito processo di «rivittimiz­zazione»). Dall’altra, gli uomini hanno potuto vedere fino a che punto l’impunità del «fattore P» come patriarcat­o — la formula è di Suzanne Moore del Guardian — continui a fare da schermo a quelli che sono reati contro la persona e vengono invece archiviati con disinvoltu­ra tra le cose della vita. Le voci maschili che — pur in ordine sparso, in ritardo, con sgomento — hanno rotto l’omertà di genere stanno tracciando una linea che andrebbe riconosciu­ta e preservata quando le grida si affievolir­anno.

La confluenza di questi due spostament­i — delle donne dalla vergogna, degli uomini dall’impunità — offre un’occasione, uno spazio affrancato dall’indignazio­ne per affrontare insieme, con audacia, il nodo del consenso. Proviamo a far risuonare i nostri no, a pronunciar­li senza paura; impariamo ad accoglierl­i, a non leggervi altri significat­i. Scegliamo la sfida di relazioni nuove, libere, simmetrich­e.

Ripartiamo da queste due parole che sono semplici e radicali: consenso, rispetto.

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