Il sì (e le critiche) di Napolitano: pressioni improprie sul premier
La contrarietà alla fiducia. Ok al voto finale oggi «per salvaguardare la stabilità»
Si è così accalorato che, chiuso l’intervento in Aula, ha avuto un crollo di pressione tale da mettere in ansia staff e medici di Palazzo Madama. Malessere subito superato che, certo, a 92 anni può capitare. Era però difficile immaginare che succedesse a un uomo come Giorgio Napolitano, abituato a «governare le passioni». Se non è riuscito a mostrare distacco, ieri al Senato, è perché la posta politica in gioco è di quelle che gli stanno davvero a cuore, fino a provocargli appunto emozioni profonde. È il caso di una legge elettorale, il Rosatellum 2, fatta votare con un ricorso alla fiducia che ha strangolato il dibattito nonostante fosse evidente che diverse criticità di «merito» avrebbero consigliato discussione ampia ed emendamenti. Ma soprattutto una legge imposta con un «metodo» tanto spregiudicato da meritare la sua censura davanti all’assemblea.
Una scorciatoia imposta dal segretario del Pd, Matteo Renzi, che l’ex capo dello Stato non nomina. Tuttavia il riferimento è inequivocabile, quando alza uno scudo a difesa di Paolo Gentiloni. Dice Napolitano, spiegando il suo pensiero su quella forzatura: «Singolare e sommamente improprio ho giudicato il far pesare sul presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti». E, continua nel suo affondo, il capo del governo, «sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire — e me ne rammarico — a quella convergente richiesta, proveniente peraltro da quanti avrebbero potuto chiedere il ricorso alla fiducia non già su tutte le parti sostanziali della legge, ma sui punti considerati determinanti, cosa che non ebbero la lucidità o il coraggio di fare».
La critica a Gentiloni è garbata («ha dovuto aderire» alle pressioni ma, sottinteso, poteva rifiutarle?) e Napolitano, che dice di «stimarlo», aggiunge d’aver «compreso la difficoltà in cui si è trovato». Comunque non rinuncia a sollevare una domanda polemica: «Si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida da parte del Parlamento fino a comprimere drasticamente ruolo e diritti, sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori?». L’interrogativo ripropone un’eterna questione sulla quale la politica si è sempre divisa, quando ha avuto a che fare con leader ultradecisionisti che recriminavano sul «Parlamento che perdeva tempo e legava loro le mani». Per il senatore a vita, insomma, «il dilemma non è: fiducia sì o non fiducia, anche perché non è mai stata affrontata, neppure dinanzi alla Corte, un’obiezione di incostituzionalità della fiducia». Bisognerebbe piuttosto chiedersi, insiste, «quali forzature può implicare e produrre il ricorso a una fiducia che sancisca la totale inemendabilità di una proposta di legge estremamente impegnativa e delicata?».
Dopo aver sottolineato la «sintonia» con Mattarella sulla necessità di una legge elettorale largamente condivisa, Napolitano non rinuncia a segnalare alcuni nodi critici che andavano corretti. In primo luogo l’indicazione sulla scheda del nome del capo della forza politica, e della coalizione, ciò che illude la gente di votare direttamente il presidente del Consiglio (cosa che piaceva a Berlusconi e oggi evidentemente pure a Renzi). E poi, altro vizio, l’assenza del voto disgiunto, per lui «non un semplice tecnicismo». Infine, chiude annunciando il suo voto favorevole con riserva. Ma solo «per salvaguardare il valore della stabilità».
Singolare e sommamente improprio ho giudicato far pesare la responsabilità della fiducia sul presidente del Consiglio Si può far valere l’esigenza di una capacità di decisione rapida fino a comprimere ruolo e diritti dei singoli deputati e senatori?