Corriere della Sera

I ragazzi del Ghetto: «Il suo era uno show, ecco perché abbiamo buttato via la corona»

- Di Rinaldo Frignani

«Ma vi rendete conto? Per mettere la sua corona sul muro del Tempio maggiore Lotito ha fatto spostare quelle del Comune e della Regione portate il 16 ottobre scorso alle celebrazio­ni per il Rastrellam­ento del Ghetto. Adesso in mezzo c’è un buco. E poi quelle almeno erano composte da fiori freschi, i suoi erano pure appassiti». Chi nella mattinata di ieri ha afferrato e scaraventa­to nel Tevere la corona avvolta dal nastro biancocele­ste, deposta martedì mattina dal patron laziale nell’indifferen­za e nel gelo della Comunità, sa di avere il sostegno almeno di una parte degli ebrei romani. L’altra invece considera quel gesto comunque sbagliato. «Quello di Lotito è stato uno show, nemmeno un passaggio in Sinagoga, è subito andato via. La storia della “sceneggiat­a” lo conferma. Si vede che è venuto qui proprio con lo spirito giusto. Si deve vergognare», racconta chi ha assistito al lancio della corona di fiori oltre il parapetto del Lungotever­e: una parte della composizio­ne si è schiantata sulla banchina, un’altra è stata portata via dalla corrente e si è arenata poco più avanti. La rabbia di alcuni giovani del Ghetto ha preso il sopravvent­o. «Lotito non doveva presentars­i in quel modo, sapeva che qualsiasi iniziativa doveva essere concordata, invece ha fatto tutto da solo. L’ha annunciato al mondo intero e quando gli è stato fatto notare che sarebbe stato meglio seguire un altro percorso, un gesto diverso — e oltretutto che a quell’ora i nostri vertici istituzion­ali non sarebbero potuti essere presenti —, non è tornato indietro», spiegano ancora i giovani del Ghetto. La registrazi­one della «sceneggiat­a» ha lasciato il segno. Più che una vendetta, il lancio della corona (deciso poco dopo la pubblicazi­one online della telefonata di Lotito) è la conferma che «non basta portare dei fiori dopo quello che è successo. Ha ragione il rabbino Di Segni: Lotito credeva che sarebbe finita così, invece servono altri gesti, come non far aprire una curva quando la tua è stata chiusa per razzismo». Ma c’è anche spazio per l’amarezza e la delusione. Per episodi che si ripetono «in molti stadi, è un problema generale del calcio italiano» e non vengono debellati. «Eppure qui è pieno di tifosi della Lazio, peccato. Da anni vanno anche in curva Nord, ma in tanti ormai da tempo hanno smesso di andarci: è difficile restare lì a sentire a ogni partita cori e insulti antisemiti. C’è chi ha cambiato settore, ma anche chi preferisce rimanere a casa piuttosto che andare all’Olimpico. Sappiamo anche che questo non è un problema esclusivo della Lazio, poteva succedere dovunque, e che c’è tanta gente perbene, tifosi che con questi fatti non c’entrano niente». A questo punto però ricucire non sarà facile. In pochi giorni è successo di tutto, la ferita rischia di rimanere aperta.

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