«I miei tre orsetti diversi danno una lezione a Trump»
Il disegnatore coreano-americano: la fratellanza è sovversiva
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San Francisco è la città più liberal d’America, ma vengono visti con diffidenza.
«Appunto, si immagina in qualche altro posto meno illuminato della Bay Area? Il pubblico mi sorprende sempre, io cerco di aggiungere piccole cose ma vedo che piccole non sono. Io scrivo le sceneggiature, faccio gli storyboard. Faccio mettere al mio staff, tra i personaggi, quando disegnano, persone di tutte le razze, le religioni. La prima volta che abbiamo messo una ragazza con l’hijab, con naturalezza, perché è normale portarlo, una ragazza musulmana mi ha scritto: non sai quanto è importante vedermi in tv, vedere che non sono un’extraterrestre. Allora ho scritto un episodio apposta per lei».
Quale?
«Uno dei miei orsi viene messo nel cast di una pubblicità. Social Gli orsetti hanno le prese elettriche nella tana, usano smartphone e pc e postano foto sui social media Deve fare il feroce, ma lui è buonissimo. Gli chiedono di ringhiare, di fare paura. Lui chiede al regista: ma se fate sempre vedere gli orsi come belve cattive la gente ci odierà, mentre noi siamo buoni».
Messaggio chiarissimo.
«Il rischio è calcare la mano e dimenticarsi di far sorridere. Ma c’è tanto che si può dire con i cartoon, abbiamo spettatori piccolissimi e adulti. Sa in quali Paesi ho trovato reazioni ancora più intense? In Messico, dove la gente mi diceva “We Bare Bears” e si toccava il cuore. E in Sudafrica. Messico e Sudafrica: chiaro, no?».
Dopo Obama «Quando c’era Obama parlare di diversità era normale. In America oggi è un atto politico»